Il Tempio è il luogo della Presenza di Dio alla storia e alla persona umana. Oggi, dopo la terribile distruzione del 70 d. C., non ne rimane che un muro, non una sorta di rovina o di rudere antico da ammirare, detto “Muro del Pianto” ed in ebraico Kotel. Vi si radunano gli ebrei per esprimere la loro adesione all’alleanza con il Creatore e pregare nelle festività. È un luogo in cui la sacralità si respira ed avvolge: la Presenza di Dio vi aleggia e vi dimora.
Qui spiega oggi, festa della Santa Famiglia, il nostro Pastore Benedetto, Gesù con i suoi genitori saliva: a Gerusalemme non si va, ma si “sale” appunto, per adempiere al precetto.
Portatovi neonato dai genitori che avevano offerto “‘una coppia di tortore o di giovani colombi’ (Lc 2,24), cioè il sacrificio dei poveri”, Gesù vi ritorna ragazzo di dodici anni.
Nulla lasciava prevedere quanto sarebbe accaduto e avrebbe messo in ansia i suoi genitori, Gesù “questa volta ha un ruolo differente, che lo coinvolge in prima persona”.
Tanto in prima persona da non comunicare neppure una parola ai suoi familiari, tanto da vivere in chiave personale la decisione di non renderli partecipi, neppure per non allarmarli.
Giunto il momento del rientro a Nazaret, avviene il colmo e non è il colpo di testa di un ragazzo bizzarro o esaltato, non una scelta per farsi notare o una dimostrazione di sé per staccarsi da una tutela che inizia a pesare.
Gesù deve aver avvertito dentro di sé una sollecitazione che, forse anche per Lui, risultava inaspettato, esattamente come quanto di “inaspettato” stava per affiorare alla storia.
La decisione del ragazzo è netta, precisa: “Egli, senza dire nulla, rimane nella Città”. Apprensione e panico non saranno certamente mancati, interrogativi e dubbi neppure: vivo, morto, rapito, ferito…? Dove si trovava il loro Figlio? Che stava facendo?
In tempi in cui cellulari e gps erano ancora da inventare, i due genitori non hanno scelta: risalire a Gerusalemme e incominciare a cercarlo.
Avranno chiesto, si saranno guardati intorno, avranno setacciato, insieme, tutti i luoghi visitati. Non è stata questione di minuti o di ore ma di un tempo ben più lungo: “Per tre giorni Maria e Giuseppe lo cercano” e non lo trovano: città, vicoli, suq, case di amici. Avranno ripercorso a ritroso tutto il loro peregrinare, per essere di nuovo magnetizzare dalla Presenza di Dio.
Infine eccolo! “Lo ritrovano nel Tempio, a colloquio con i maestri della Legge”.
Indubbiamente un ‘ben trovato’ avrà sciolto la tensione nervosa ma ne rimaneva una più profonda che coinvolgeva tutta la vita dei genitori e tutta la loro comprensione di quel piano di Dio che ne aveva scosso le vite, imprimendo una direzione e un significato che più illeggibile di così non si sarebbe potuto manifestare.
Eppure, i due, Maria e Giuseppe, ognuno a suo modo, vi aveva dato adesione piena. Per ottenere questo esito? Questa ricompensa?
Inoltre, non si può proprio dire che la risposta del Figlio sia delle più accettabili se non si è radicati fino in fondo in una fede che non si lascia tramortire da nessun colpo: “Gesù risponde che non devono meravigliarsi”.
Che avrebbero dovuto fare? Quale l’alternativa?
Dinanzi alla paternità e maternità nella carne e nella storia, Gesù oppone un’altra paternità, proclama che Egli non proviene come tutti noi da un uomo e una donna, ma solo che quest’uomo e questa donna lo stanno allevando e custodendo perché Egli possa scoprire la ragione per la quale si è incarnato. Non esclude così i suoi genitori ma indica una priorità da rispettare: “Quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il Padre, che è Dio”.
Anche i nostri antichi Padri si interrogarono su questo episodio e ce ne offrirono una spiegazione, come Origene, “Egli professa di essere nel tempio di suo Padre, quel Padre che ha rivelato a noi e del quale ha detto di essere Figlio”.
In questo modo, nella storia, inizia a palesarsi quanto avverrà molto più tardi e che renderà Gesù il Salvatore: Colui che ci fa conoscere e ci mostra il Volto del Padre. Non sarà stato facile per i genitori da capire o almeno da afferrare parzialmente, che cosa significava un gesto così strano e una risposta ancora più oscura? Continua per Maria e Giuseppe quel cammino di fede che sarà loro per decenni e che culminerà in una tragedia sì, ma salvifica per il mondo e per tutti i suoi abitanti.
È un esproprio vero e proprio perché vengono subordinati, se considerati da un punto di vista umano e razionale, invece se considerati da un punto di vista di fede vengono introdotti nel mistero di un Dio che chiama e assegna un compito alla storia di ciascuno. A chi ha donato la vita viene chiesta una risposta densa e sicura che traccia un confine ben chiaro a tutti gli sposi genitori che “non sono gli amici o i padroni della vita dei loro figli, ma i custodi di questo dono incomparabile di Dio”.
Mistero e dilemma, realtà per “Maria, che custodiva ogni cosa nel suo cuore” e per Giuseppe, il giusto, che “nel silenzio” adorante attingeva la forza per accettare.