Tre italiani al Festival di Venezia

“Questi giorni” di Giuseppe Piccioni, “Piuma” di Roan Johnson e “Spina Mirabilis” di Massimo Adinolfi e Martina Parenti

Saranno tre le pellicole italiane in concorso alla 73esima edizione del Festival di Venezia: si tratta di “Questi giorni” di Giuseppe Piccioni, storia di un viaggio destinato a cambiare la vita delle quattro adolescenti che lo faranno, “Piuma” di Roan Johnson, su una coppia di adolescenti che devono affrontare una maternità improvvisa, e “Spina Mirabilis” di Massimo Adinolfi e Martina Parenti, ambiziosa riflessione sulla tensione umana all’immortalità tra cielo, terra ed acqua. Sono tre scommesse perché, al di là di Piccioni che è un regista abbastanza noto, sono realizzati da giovani autori poco conosciuti che puntano su piccoli film autoriali.
In tutto sono venti i titoli in concorso, per una selezione che vuole aprirsi ad un pubblico sempre più vario. E così accanto a maestri come Emir Kusturica, Wim Wenders, Terrence Malick, Francois Ozon il programma prevede molto cinema “non fiction” (in concorso il documentario di Terrence Malick sulle origini del cosmo, Spira Mirabilis e tanti altri titoli in altri spazi della Mostra), omaggi ai maestri che ci hanno lasciato (la Mostra è dedicata a Michael Cimino e Abbas Kiarostami) e una sezione, Cinema nel giardino (in cui verrano presentati il nuovo film di Gabriele Muccino, un documentario di Michele Santoro e il cartoon campione di incassi Pets – Vita da animali), “che non risponde solo all’esigenza di ospitare qualche film in più – dice il direttore del Festival Alberto Barbera – ma si propone di ampliare i confini di ciò che si può e si deve mostrare in un festival”. E di renderlo quindi più popolare, più accessibile o forse solo semplicemente più vario.
Un Festival, dunque, che senza snaturare la sua natura di manifestazione atta a svelare il cinema più innovativo e sperimentale sappia anche rendere conto delle molteplici estetiche narrative e spettacolari di quello che popola i nostri schermi contemporanei. Per questo motivo, infatti, i film di apertura e di chiusura saranno due grandi film hollywoodiani: ad inaugurare i giorni di Festival sarà, infatti, la “Land” di Damien Chazelle, omaggio al genere musical, con i due divi Ryan Goslin ed Emma Stone che si innamorano a ritmo di musica e canzoni, mentre a chiudere la rassegna sarà il remake de “I magnifici 7”, western inossidabile, che porterà al Lido il premio Oscar Denzel Washington. Due film di genere di alto impatto spettacolare e divistico, pronti ad infiammare la platea veneziana.
Non in concorso ci sono anche i nuovi lavori di due grandi attori passati dietro la macchina da presa: Kim Rossi Stuart e Mel Gibson. Rossi Stuart (presidente della giuria internazionale del Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”) con “Tommaso” firma un ritratto di giovane attore di talento, gentile e romantico ma con una serie di fallimenti sentimentali alle spalle. Un film autobiografico per l’attore italiano, mentre Mel Gibson racconta una storia vera accaduta durante la seconda guerra mondiale e in particolare la battaglia di Okinawa con un cast maschile d’eccezione che porterà altri divi al Lido.
Tra gli eventi speciali della Mostra desta curiosità ed aspettative la serie tv diretta dal premio Oscar Paolo Sorrentino “The young Pope” con Jude Law nei panni del primo Papa americano della storia, giovane e affascinante, la sua elezione sembrerebbe il risultato di una strategia mediatica semplice ed efficace del collegio cardinalizio.
Infine i Leoni d’oro alla carriera che saranno l’attore francese Jean-Paul Belmondo e il regista polacco Jerzy Skolimowski. A partire da quest’anno, il Cda della biennale ha deciso, infatti, l’attribuzione di due Leoni d’Oro alla carriera in ciascuna delle edizioni future della Mostra: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo dell’interpretazione. Sarà bello vedere il sorriso ironico di Belmondo sul palco: il suo volto è quello che nel 1960 inaugurò, con “Fino all’ultimo respiro” di Godard, un nuovo modo di raccontare il mondo giovanile. È lui con la sua faccia strafottente ad incarnare per primo l’inquietudine di un mondo moderno che si va secolarizzando, sempre più dominato dal vuoto e dalla noia di vivere.