Terremoto in Emilia: la solidarietà non trema

Circa 5 mila sfollati: molta la paura, ma ancor più grande è la fiducia.

Almeno ha smesso di piovere, almeno per qualche ora. E non è un sollievo da poco il sole per le persone costrette per strada, o nelle loro macchine, o nei campi allestiti dalla Protezione Civile, mentre la terra in Emilia continua a tremare. Secondo i dati diffusi dalla Regione Emilia Romagna, sono 4.914 i cittadini che hanno lasciato le proprie case per essere ospitati presso i campi e le strutture di prima assistenza allestiti dalla Protezione Civile: 266 nel bolognese, 1.288 nel ferrarese e 3.360 nel modenese. Impegnati 731 volontari della Protezione Civile regionale, oltre a circa 300 provenienti da altre Regioni, ed è stato attivato un posto medico avanzato a Mirandola per assicurare la prosecuzione dell’attività sanitaria a fronte dell’inagibilità degli ospedali di Finale Emilia e Mirandola.

L’impegno della Caritas.

La popolazione colpita dal terremoto in Emilia Romagna sta reagendo “con un atteggiamento di fiducia, perché la rete della solidarietà, la rete soprattutto della carità in Italia, è sempre stata all’altezza, specialmente manifestando la buona volontà di tutti”, ha detto mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, dopo aver visitato i luoghi del sisma. Domani è previsto un incontro tra Caritas italiana, il delegato regionale delle Caritas dell’Emilia Romagna, Gianmarco Marzocchini, e i direttori delle Caritas delle diocesi colpite per “fare il punto su bisogni e interventi necessari” e “avviare azioni di prossimità sul territorio, puntando a mantenere unite le comunità locali”. Frattanto, da tutta Italia, le diverse Caritas diocesane hanno manifestato “vicinanza e disponibilità ad aiutare, così come anche l’intera rete internazionale, tramite Caritas Europa e Caritas internationalis”.

Danneggiata la memoria storica.

Viaggiando tra le zone colpite si percepisce come a fare le spese del terremoto sia stato soprattutto il patrimonio storico e artistico di queste terre. “Le case nel complesso hanno retto e non abbiamo avuto danni significativi alle persone, mentre è un grave disastro dal punto di vista storico”, commenta al Sir mons. Ettore Rovatti, parroco di Finale Emilia, epicentro del sisma. In città il centro è “zona rossa” e gli abitanti fanno la fila davanti a una postazione allestita dai Vigili del fuoco per andare nelle loro case, accompagnati e con l’elmetto in testa, a recuperare gli effetti personali più urgenti. Il fenomeno è ancora in atto, e bisogna attendere i sopralluoghi della Protezione Civile e dei Vigili del fuoco per sapere quali siano gli edifici effettivamente agibili. Il parroco, appassionato della città e delle sue opere d’arte, lamenta la distruzione dei simboli di Finale: la Torre dei modenesi del 1212, il mastio e la torre del castello che risalgono al 1430, la torre degli obici. “Anche tutte le 7 chiese della città – prosegue – hanno avuto gravi danni e ora sono chiuse”.

Il dramma di Sant’Agostino.

A Sant’Agostino ferrarese, all’estremo confine della diocesi di Bologna (ma già in provincia di Ferrara), “sono venuti meno i tre punti di riferimento di una comunità: il Comune, la chiesa, il posto di lavoro”, osserva il parroco, don Gabriele Porcarelli. Lui stesso è sfollato. “Non posso entrare né in chiesa, né in canonica”, racconta al Sir. Il campanile, fortemente danneggiato, rischia di crollare e la piazza antistante è stata transennata; di fronte alla chiesa, il municipio devastato le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. “Quasi tutte le attività lavorative qui hanno avuto i capannoni danneggiati”, prosegue don Porcarelli, spiegando che solo alle Ceramiche Sant’Agostino (dove hanno perso la vita 2 dei 4 operai) vi sono circa 350-400 lavoratori. Fabbriche chiuse, dunque, e pure “le chiese vicine di Mirabello e Buonacompra – aggiunge – non esistono più”. Si è salvata, invece, la chiesa della vicina frazione di San Carlo, costruita nel 1997, ma anche qui si è registrata la distruzione del cinquecentesco Oratorio Ghisilieri. Ancora intatto il cartello che ne annuncia il restauro. “Avevamo appena rifatto la pavimentazione – racconta il parroco di San Carlo, don Giancarlo Mignardi – con il riscaldamento che vi passava sotto. Per fortuna non avevo firmato il contratto per la manutenzione delle caldaie…”.

Chiusa la Curia di Carpi.

A Carpi sono in corso le verifiche della Protezione Civile, che hanno riscontrato danni nel centro storico (caduta di comignoli, crepe nei muri, distacchi di cornicioni e slittamento dei manti di copertura), il cedimento di parte del tetto del Teatro comunale, due scuole lievemente colpite e quattro abitazioni private inagibili. Per quanto riguarda le chiese cittadine si parla d’inagibilità del duomo e di San Nicolò. “Invito ognuno ad avere coraggio, a vivere con fede questa durissima prova, questo ci aiuterà a creare comunità più unite nell’amore, nell’amicizia e nella solidarietà”: queste le parole d’incoraggiamento che il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina, ha rivolto alle popolazioni colpite. Anche il palazzo vescovile e gli uffici della Curia sono chiusi per motivi di sicurezza e lo stesso presule ieri notte ha dormito per precauzione in un garage, perché nella sua abitazione sono comparse crepe vistose.