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30 Novembre 2016 Marina Luzzi

A Taranto il ristorante sociale “Articolo 21” è diventato un richiamo per la città

Da più di un decennio cappellano del penitenziario tarantino, don Francesco Mitidieri è “un prete di strada”, poche chiacchiere, sandali ai piedi e camminare. Quel ristorante tanto sognato, da più di due mesi ha un nome importante: “Articolo 21”. Ci lavorano 6 dipendenti tra i 19 ed i 35 anni, assunti dalla cooperativa omonima nata per gemmazione dall’associazione “Noi e Voi”: “È un luogo privilegiato di incontro e di approfondimento di altre culture, religioni, storie differenti”

“Solo quando condividi con gli altri un desiderio, diventa un sogno che si realizza”, dice don Francesco Mitidieri. Lui il sogno di aprire un ristorante sociale, che desse lavoro a detenuti in cerca di riscatto, migranti e ragazzi delle periferie “difficili” della città, lo coltivava da anni insieme all’équipe dell’associazione “Noi e Voi” con cui gestisce una casa famiglia per carcerati in misura alternativa e richiedenti asilo. Da più di un decennio cappellano del penitenziario tarantino, don Francesco è “un prete di strada”, poche chiacchiere, sandali ai piedi e camminare. Quel ristorante tanto sognato, da più di due mesi ha un nome importante: “Articolo 21”. Ci lavorano 6 dipendenti tra i 19 ed i 35 anni, assunti dalla cooperativa omonima nata per gemmazione dall’associazione ‘Noi e Voi’. “Siamo partiti grazie al sostegno della fondazione Megamark – spiega don Francesco – che con 14mila euro ci ha permesso di iniziare a concretizzare l’idea. Certo il primo obiettivo è creare nuovi posti di lavoro ma Articolo 21 è un luogo privilegiato di incontro e di approfondimento di altre culture, religioni, storie differenti”.

Un nome che è portatore di significati e rimandi importanti. “Nella Costituzione italiana l’articolo 21 è la libertà di pensiero ed espressione, che in noi si coniuga con la conoscenza di realtà sociali positive. Penso alle feste a tema, come quelle africane o quella del Tabaski, con la comunità musulmana e la presenza di un imam che ci ha spiegato il significato della ricorrenza. Inoltre, nell’ordinamento penitenziario, l’articolo 21 legittima il lavoro come occasione per sperimentarsi fuori dal carcere. Il passo che può precedere la semilibertà. E noi nel nostro ristorante abbiamo un dipendente semilibero ed un altro in arrivo. E poi, l’articolo 21 del testo unico sull’immigrazione, afferma che si possa rientrare nelle ‘quote migranti’ (potendo ottenere i documenti, ndr) grazie ad un contratto di lavoro e noi qui abbiamo richiedenti asilo dal Gambia e dal Ghana”.

Ristorante “Articolo 21”

Garantire la propria sostenibilità. Articolo 21 nasce tra Città vecchia e quartiere Tamburi, entrambi a ridosso dell’Ilva. “Rientriamo in qualche modo anche nel progetto ‘Terre elette’ finanziato da Fondazione con il Sud, che prevede la valorizzazione della zona del mar Piccolo, perché ci poniamo in un punto strategico, di passaggio e perché valorizziamo giovani delle periferie. La rinascita passa dalla periferia”. In cucina a fare da chef e sovrintendere il lavoro c’è Fabrizio Ragnati, genovese ma tarantino d’adozione, che ha avviato tanti ristoranti di successo in città e fuori. “I ragazzi sono volenterosi – ci spiega – non avevano esperienza di cucina e adesso stanno imparando anche a fare il pane. Con i due africani abbiamo avuto qualche difficoltà linguistica e un diverso approccio. Loro sono abituati a cucinare un piatto unico, con riso, carne, verdura. Invece stanno imparando che in Italia ci sono le portate. Ancora qualche errore tutti, una volta uno, una volta l’altro, lo fanno. Soprattutto con le dosi per le grandi quantità, ma stanno crescendo in poco tempo”. Il target è medio alto, con prodotti di prima qualità e una predilezione per pesce e mitili.

“Abbiamo puntato espressamente a questa clientela perché l’obiettivo è che l’impresa possa garantirsi presto una propria sostenibilità, andando avanti da sola. E la città sta rispondendo bene – sottolinea don Francesco – con interesse, curiosità ed entusiasmo.

Per il pranzo e per la cena poi facciamo sempre in modo che ci sia qualche socio della cooperativa che spieghi il progetto. Siamo partiti grazie al passaparola ‘parrocchiale’ ora invece c’è gente che viene perché ha saputo che si mangia molto bene. Poi ritornano con altri per farsi loro stessi promotori del progetto. Intanto puntiamo anche su iniziative culturali (due mostre fotografiche: una per i 50 anni della venuta a Taranto di papa Paolo VI, un’altra intitolata ‘Uno scatto per l’integrazione’) perché cultura e sociale devono camminare insieme”.

Una grande famiglia. Don Francesco vuole citare, uno ad uno, i soci della cooperativa. “Il presidente, Antonio Erbante, che trasmette a tutti una grande passione per il progetto e poi Lucia, Ganxhe, Mariagrazia, Flavia, Gianluca, Emanuele. Loro ed i ragazzi che animano questo ristorante sono l’esempio che è possibile fare diversamente,valorizzare talenti ed il positivo che ciascuno ha”. Nicola, che sconta la sua pena ma lavora in cucina, in una frase raccoglie l’entusiasmo che si respira in questo ristorante fuori dal comune. “La mia vita adesso ha un valore. Prima non lo aveva”, dice. Lui la sua vita l’ha cambiata. Ora ha due figli di 12 anni e di 9 mesi. “Scoprendo l’amore di Dio e intraprendendo questo nuovo percorso lavorativo – conclude – ho capito il significato della parola dignità e posso dormire sereno la notte”. Intanto Michael, da 5 mesi in Italia, si prepara a lavare i piatti. “Ma sto imparando l’italiano, così presto posso dare una mano in sala”. “E anche se certe volte litighiamo, perché succede a stare sempre in contatto tutto il giorno in cucina – sorride Italo –alla fine si chiarisce tutto. Siamo una grande famiglia”.

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