Sul cammino di Emmaus

Domenica 25 ottobre il vescovo incontrerà i catechisti della diocesi per la conoscenza e la celebrazione del mandato. La prospettiva offre l’occasione di fare il punto sui percorsi di iniziazione cristiana nella diocesi, e in particolare sul “Cammino Emmaus” in sperimentazione da qualche anno nella vicaria del Centro Storico. Ne parliamo con don Marco Tarquini, responsabile dell’ufficio catechestico diocesano.

Don Marco, da qualche anno il percorso di iniziazione cristiana nella vicaria del Centro Storico segue il “Cammino Emmaus”. Si tratta di una scelta che allontana dall’immagine “scolastica” del catechismo per puntare maggiormente sulla famiglia e sulla comunità cristiana in generare. Oggi è possibile fare un primo bilancio di questa scelta?

Quattro anni fa, la Vicaria del Centro Storico di Rieti, su invito del Vescovo Delio Lucarelli, ha pensato di sperimentare l’esperienza della catechesi di iniziazione cristiana ispirata al metodo catecumenale del “progetto Emmaus”. Questo percorso è iniziato per le Parrocchie di Santa Lucia, San Michele Arcangelo, Sant’Agostino e Cattedrale. Ci siamo orientati a questa scelta partendo dalla riflessione sul paragrafo 55 e sulla nota 45, del Liber Sinodalis sull’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Il Sinodo Diocesano chiedeva di cambiare impostazione, tappe, modi e tempi della celebrazione dei Sacramenti e soprattutto mentalità, ribadendo che l’obiettivo dell’iniziazione cristiana, non è il Sacramento da celebrare, ma la vita cristiana il cui fondamento è Cristo e la sua Parola. In questo modo la catechesi non diventa semplicemente un corso per il Sacramento, ma un vero e proprio “tirocinio” di vita cristiana. Anche le famiglie dei bambini e dei ragazzi sono chiamate ad entrare in questo cammino, naturalmente l’impegno chiesto ai genitori è sempre misurato alla loro realtà di vita lavorativa e familiare, ma è essenziale che si rendano conto che sono loro a dover essere per i propri figli i primi testimoni della fede, i catechisti sono un aiuto non dei sostituti. Importante è anche il compito della comunità parrocchiale, la vita cristiana si svolge infatti all’interno di una comunità di fratelli e sorelle che è la parrocchia, questo percorso aiuta anche la Parrocchia a rendersi partecipe della formazione cristiana dei suoi figli. Il bilancio che mi sento di dare è positivo, certo quattro anni sono molto pochi, perché entrare in quest’ottica di catechesi richiede un cambio di mentalità e questo non è affatto facile, ci vuole tempo e pazienza,ma il lavoro svolto in questi anni ci ha permesso comunque di vedere i primi germogli che danno speranza per il domani.

Oltre che rappresentare una novità per le famiglie, il “Cammino Emmaus” ha richiesto un cambio di prospettiva anche ai catechisti. Hanno trovato più vantaggi o difficoltà?

Direi non solo per i catechisti ma anche per noi preti! Ogni cambiamento richiede uno scomodarsi, un rimettersi in gioco e questo non è mai facile. Certamente all’inizio ci sono state difficoltà, il vedere la catechesi come un percorso di fede e non un corso che dura 2 anni per la Comunione e 3 per la Cresima, il preparare degli incontri dinamici dove oltre il linguaggio verbale si usa quello artistico, musicale, ludico ecc. Poi gli incontri dei genitori dove i catechisti per la prima volta si sono trovati a doversi misurare con gli adulti, scoprendosi non solo degli insegnanti o degli educatori, ma anche dei testimoni della fede (DB 186). Ma sicuramente oltre le difficoltà ci sono stati anche delle positività, il vedere molte volte il gruppo dei bambini e dei ragazzi non annoiato ma appassionato di quanto si era fatto durante quell’incontro, la partecipazione dei genitori che è stata sempre in tutte le parrocchie più che positiva l’accoglienza della Comunità parrocchiale nei riti di passaggio fatti durante la S. Messa principale. Sono momenti importanti che sempre hanno ridato vigore e forza di continuare ai catechisti.

Seguendo la storia dei testi per il catechismo della Chiesa cattolica, si vede come il loro avvicendarsi risponda in qualche modo ai cambiamenti in corso nella società. Il cambio di metodo affrontato dalla diocesi è anche la presa d’atto di una società solo formalmente cristiana?

Stiamo vivendo una realtà frammentata e sempre più lontana dalla fede come scelta di vita. Per molti, diceva il nostro Vescovo Mons. Domenico Pompili nell’omelia della dedicazione della Cattedrale, la Chiesa è come un supermercato dove prendo quanto mi serve al momento. E così vengono vissuti i Sacramenti, come un passaggio una specie di rito che è legato ad alcune tappe della vita ma che poi nel vivere quotidiano a poco mi serve. Questo cambio di metodo vuole ribadire che essere cristiani non significa solo ricevere dei Sacramenti ma vivere da cristiani. I Sacramenti sono dei doni di grazia che ci accompagnano unendoci a Cristo nel cammino della vita cristiana.

L’analfabetismo religioso è un grande problema, anche culturale. Perdendo i riferimenti cristiani diviene difficile anche comprendere anche tanti modi di dire legati alle scritture, o leggere l’infinito patrimonio di 2000 anni di arte cristiana. Cosa si può fare per invertire la rotta?

È importante rimettere al centro la Sacra Scrittura, essa è il “Libro” non un sussidio (DB 107) se la catechesi deve ruotare intorno ad un punto centrale questo è la Parola di Dio. L’esperienza del progetto Emmaus ci ha aiutato a capire quanto questa Parola può essere capace di indicare il cammino della vita cristiana. Una Parola che va raccontata, accolta e poi vissuta.

Da tempo una volta ricevuta la cresima i ragazzi “scappano” dalle chiese, si allontanano dalle parrocchie. Con il Cammino Emmaus si è invertita un po’ la tendenza?

Il Cammino Emmaus non è una ricetta che risolve tutti i problemi, non credo che sia semplicemente nel cambiare metodo la risoluzione della fuga post cresima. Certamente questo percorso, se preso con serietà dai parroci, dai catechisti, dai genitori e dall’intera Comunità Cristiana può portare ad un cambio di mentalità nel vedere la Comunione e la Cresima non come un punto di arrivo ma come un punto di partenza. Ci sono poi dei problemi aperti, che richiedono tempo, studio e riflessione per poter trovare una risoluzione legata alla nostra realtà diocesana e parrocchiale. Dobbiamo però anche chiederci: che cosa offriamo ai ragazzi che hanno fatto la Cresima? E in che modo sappiamo farli sentire pienamente coinvolti nelle attività e nella vita parrocchiale? È durante gli anni di Iniziazione Cristiana che si deve lavorare perché le famiglie e i ragazzi possano sentire la parrocchia come una madre alla quale appartengono, una comunità che li accoglie e li ama. Pensare a come continuare, a come inserire in ragazzi dopo la Cresima è ormai troppo tardi. È un problema pastorale che va affrontato sin dall’inizio del Cammino per diventare cristiani e non soltanto alla fine.