Rifugiati: dentro il problema. Lo Sprar Caritas

Capire la situazione di chi è costretto a fuggire da guerre o persecuzioni non è facile. Chiediamo aiuto a chi ogni giorno incontra, ascolta, conoscere le loro storie, ci vive accanto.

L’Europa ha approvato a maggioranza la ripartizione per quote dei rifugiati giunti sul continente. Ma diversi Paesi dell’Est si oppongono all’obbligo. L’Ungheria ha completato un vero e proprio “muro” anti-immigrati al confine serbo e fatto scattare nuove e più dure regole nei confronti dei migranti. I media non smettono di raccontare i morti durante le traversate aggiornando un macabro bollettino. Gli italiani sono disorientati, ma proviamo a domandarci come vivono questo ininterrotto flusso di notizie i rifugiati ospiti dello Sprar.
«Non ne parlano» ci spiega Antonella Liorni, responsabile del progetto Caritas. «Il loro è un trauma troppo grande. Noi lo conosciamo, ce lo debbono raccontare perché si possa preparare la documentazione per l’iter di riconoscimento dello status di rifugiato. Sono storie veramente dolorose, a volte spaventose».

A fronte di queste storie c’è il punto di vista degli italiani. Da un lato c’è che dice «aiutiamoli in casa loro». Dall’altra c’è chi cede al fascino un po’ ideologico del multiculturalismo ad ogni costo. In realtà entrambe le posizioni sembrano facilone e poco realistiche.

Più pragmaticamente la Caritas italiana insiste per l’attivazione di corridoi umanitari. È necessario che la gente costretta a fuggire dal proprio Paese non debba trovarsi automaticamente in mano ai trafficanti. È inumano. Dobbiamo ricordare che queste persone stanno scappando da Paesi disastrati dalla guerra, dalla corruzione, dalla povertà, dal terrorismo, da disastri ambientali. Sono costretti a muoversi. Non è che mandiamo qualche contingente militare o umanitario e le emigrazioni si fermano.

E allora che risposta possiamo dare?

L’unica atteggiamento verso queste moltitudini che fuggono dal pericolo di morte è l’accoglienza. È di tutta evidenza che l’attuale flusso migratorio è inarrestabile. La situazione ideale è quella in cui si evita alle persone di abbandonare i propri Paesi d’origine per motivi di guerra e di fame, siamo d’accordo. Ma non è così facile. Azioni profonde si troverebbero in contraddizione con una moltitudine di interessi dell’economia occidentale. Troppe cose fin’ora non hanno funzionato. Occorre riconoscere che l’Occidente non subisce, ma è parte del problema. E di questa responsabilità in qualche modo deve farsi carico.

D’altra parte questa situazione va governata. L’innesto delle popolazioni sembra inevitabile, magari anche desiderabile, ma non sarà indolore. Sono processi lunghi e niente affatto scontati. Ma è una prospettiva che l’Europa deve assumere, anche se si annuncia tremendamente difficile…

Purtroppo il ragionamento a livello europeo sembra in affanno rispetto alle realtà. Ma è comprensibile di fronte alla natura complessa del rapporto tra gli Stati e di quello tra i singoli governi e le popolazioni. Il sistema delle quote ha dei limiti. Occorrerebbe lasciare i rifugiati liberi di recarsi nel Paese in cui pensano di avere maggiori possibilità: per competenza professionale o per l’appoggio di amici o parenti. Piuttosto che spalmare i rifugiati sui vari Paesi si potrebbero dirottare le risorse dove realmente i rifugiati intendono stabilirsi. Il flusso migratorio ha logiche “naturali” che difficilmente corrispondono al bilancino di Bruxelles. È a mettere barriere che si creano problemi. Aprendo la circolazione gli individui finiscono con lo stabilirsi laddove hanno una reale possibilità di vita. Il disagio nasce quando si costruiscono artificiosamente sacche di persone che non sanno cosa fare. Diventano velocemente un motivo di incomprensione anche per la popolazione locale.

Il momento storico che stiamo attraversando non sembra riconducibile ad un disegno preordinato (ma quando mai è così!). Per ricomporre la situazione non disponiamo di una formula pronta all’uso. Può darsi che non ce la faremo a rispondere in modo adeguato, e allora sarà una catastrofe. Proprio per questo è necessario attrezzarsi, cercare di capire, di comprendere. Occorre sentirsi responsabili e cercare di contribuire per vivere in modo appropriato nel nostro tempo.