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Sudafrica al voto, appello dei vescovi: «No alla violenza, sì a un voto libero e pacifico»

Oggi in Sudafrica 26,7 milioni di persone saranno chiamate a recarsi ai seggi per le elezioni generali, a un quarto di secolo dalla fine del regime segregazionista dell’Apartheid

Oggi 8 maggio, il Sudafrica andrà al voto. Sarà la sesta votazione dall’avvento della democrazia nel Paese, a un quarto di secolo dalla fine del regime segregazionista dell’Apartheid. Il presidente in carica, Cyril Ramaphosa, si ricandida alla guida del partito African Nation Congress, fondato nel 1994 da Nelson Mandela. Ramaphosa, 66 anni, è subentrato nel dicembre 2017 all’ex capo di Stato destituito Jacob Zuma, rimasto coinvolto in diversi processi per corruzione.

Uno dei temi più scottanti della campagna elettorale è stato quello della proprietà delle terre, che nella maggior parte ancora sono nelle mani della minoranza bianca. La riforma sul tema, che era stata promessa nelle scorse elezioni dall’Anc, procede ancora a rilento. Oltre al leader centrista Ramaphosa, si fronteggeranno nella tornata elettorale Mmusi Maimane, a capo del partito di destra liberale (Democratic Alliance), e Julius Malema dell’estrema sinistra (Economic Freedom Fighters). A questi domani per la prima volta si aggiungerà “Black First, Land First” un partito sovranista che si basa per l’appunto sulla riappropriazione della terra da parte della maggioranza nera.

«Fratelli e sorelle sudafricani, vi preghiamo in nome della nostra comune umanità e dei valori spirituali di comportarvi in modo pacifico prima, durante e dopo le elezioni», così i vescovi del Sudafrica in vista delle elezioni generali di domani. «L’esercizio del diritto di voto – proseguono – è un dovere sia sacro che morale. Molte persone hanno sofferto e sono morte per permetterci di esercitare il voto». I vescovi condannano quindi ogni atto di violenza che impedisca un voto libero e pacifico esortando i leader politici «di astenersi da dichiarazioni incendiarie, intimidatorie e inappropriate, di adottare misure chiare e decisive quando i candidati e i loro sostenitori sono coinvolti in atti di intolleranza, intimidazione, molestie e disturbo, e di garantire il rispetto del processo elettorale e dei risultati».

I vescovi hanno di recente condannato con forza l’ondata xenofoba, che a loro avviso «rischia di riportare il Paese ai tempi dell’Apartheid». Nelle scorse settimane, infatti, si sono verificati atti di violenza xenofoba nei confronti degli immigrati provenienti dai Paesi vicini. Violenze attribuite alla propaganda contro gli stranieri condotta da diversi candidati alle elezioni che, pur di ottenere voti, alimentano la paura e l’odio nei confronti dei migranti.

Ma qual è la situazione nel Paese in questo momento? Risponde Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa del Centro Studi Internazionali:

R. – Si tratta di una tornata elettorale molto importante per gli equilibri e per il futuro politico del Sudafrica perché, per la prima volta nella storia del Paese, il ruolo di leadership dell’African National Congress, il partito che di fatto ha sancito la fine dell’Apartheid e governa il Paese dalla metà degli anni ’90, comincia a scricchiolare e rischia di essere messa in discussione.

L’attuale presidente è accreditato dal 50 per cento dei sondaggi, ma sono attendibili?

R. – Si tratta di un dato piuttosto generoso, i sondaggi esistono molte volte per essere smentiti, soprattutto in un Paese come il Sudafrica dove la rilevazione è piuttosto complicata ed esistono profonde differenze tra le città e le aree rurali. Diciamo che questo dato riflette un indice di fiducia più che un indice di sostegno politico in senso stretto.

Esiste quindi un ritorno all’Apartheid visto che ci sono state anche nei giorni scorsi violenze nei confronti di profughi?

R. – No, pensare a un ritorno al regime di Apartheid in Sudafrica è letteralmente impossibile. Però diciamo che nel Paese continuano ad esistere profonde disomogeneità sociali e profonde discriminazioni sociali ed economiche. Il Paese vede uno dei tassi di criminalità più alti al mondo e uno dei tassi di disuguaglianza sociale più alti al mondo. In questo contesto il rallentamento della crescita economica e la piaga della corruzione hanno contribuito a minare la fiducia dell’elettorato nei confronti dell’Anc e hanno aumentato il bacino potenziale di supporto per partiti un tempo periferici nello spettro politico nazionale.

Quali sono i problemi più importanti del Sudafrica? Pur essendo il Paese più industrializzato del continente il 20 per cento della popolazione vive ancora nell’indigenza. Come mai?

R. – Perché il modello economico va riformato e anche la legislazione del lavoro che è particolarmente rigida impedisce la moltiplicazione dei posti di lavoro e l’assunzione dei tanti disoccupati. Inoltre c’è un problema storico che riguarda la riforma agraria, cioè la redistribuzione delle terre e la promozione delle piccole e medie imprese. Questo è un problema che non è solo economico, ma è anche politico nel momento in cui il controllo della terra rappresenta un grimaldello fondamentale nella negoziazione, negli equilibri di potere tra i leader tribali, leader locali e le strutture dell’Anc. Il partito infatti ha bisogno del loro supporto per mantenere la presa sul Paese, sulla popolazione e sulle sue strutture.

Matteo Petri per Vatican News