Lo strano caso del Giudizio Universale

È in una domenica fredda e piovosa di fine marzo che finalmente ebbi la rivelazione. Incamminandomi a braccetto con mia moglie per le vie del centro cittadino spazzate a tratti da una pioggia gelida e tutt’altro che primaverile, accedo a qual piccolo gioiello – ridotto a mero parcheggio “di continuità” – che è piazza Beata Colomba e subito mi colpisce un particolare che, in 48 primavere, non avevo mai avuto l’occasione di notare: il portone accanto alla chiesa di San Domenico è aperto.

Una singolare sensazione mi pervade, d’improvviso: chi poté un tale miracolo? Sono le sigle ed i manifesti del FAI a mettermi sulla buona strada: laddove non poté politico né ecclesiastico alcuno – o meglio, laddove costoro proprio non si curarono nemmeno di provare a farlo – giunse l’iniziativa di pochi, avventurosi appassionati volontari che si prodigano nell’impari missione di render fruibili ai più gioielli dell’immenso patrimonio artistico italico spesso dimenticati o, peggio, interclusi.

La sorte mi è benigna: mi avvicino e la graziosa e gentilissima volontaria che ci accoglie subito si affretta ad avvertirmi, sotto lo sguardo sobrio e vigile di un imponente milite in tenuta mimetica: «dieci minuti e chiudiamo: affrettatevi!». Varcata finalmente la soglia di quel sito “off limits” (la terminologia militare casca a pennello) vengo d’improvviso investito da una profonda emozione, mista a stupore: il Giudizio Universale dei Torresani è finalmente lì, di fronte a me, che mi travolge e mi avvolge con il suo dinamismo straordinario; con quell’affollarsi incredibile delle anime che si accingono al giudizio, chi in attesa della salvezza eterna e chi, invece – come nel racconto evangelico delle pecore e dei capri – alla dannazione eterna.

Il pensiero corre subitaneo ed immediato all’opera incommensurabile del grande Michelangelo, a cui i quattro autori chiaramente si rifanno, ed il pensiero di averne uno splendido “formato ridotto” lì, a due passi da casa, e di non poterne godere unitamente ai tanti turisti che sicuramente ne sarebbero attratti a frotte, fa crescere in me la rabbia e lo sgomento. E ripenso al mio viaggio di nozze di tanti anni prima – venti, oramai – quando, visitando la splendida penisola dello Jutland, ci capitava spesso di imbatterci in piccoli musei o siti che, in confronto, potrebbero eufemisticamente definirsi insignificanti e che pure il civilissimo popolo danese era stato in grado di curare e valorizzare al meglio, pur avendo a disposizione patrimoni culturali che, al cospetto di quelli nostrani sono di portata addirittura infinitesimale!

Uno strano caso, quello del Giudizio Universale nell’oratorio di San Pietro Martire, di una strana città e di un altrettanto strana nazione. Rieti è, per certi versi, un autentico paradigma di questa nostra splendida, meravigliosa ma altrettanto infelice terra italica: come una preda vittima di se stessa, affonda inesorabilmente nelle sabbie mobili della grettezza, dell’indifferenza, del provincialismo abietto e pettegolo, sistematicamente ripiegata su se stessa e sui suoi endemici ed eternamente ripetitivi, piccoli, miseri drammi autoreferenziali. E come una vittima sorda e cieca – e scioccamente felice di esserlo – ha accanto a se tante splendide opportunità per uscir fuori dalla melma ma per essa «Si è verificato il proverbio: il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago» (2a Lettera di San Pietro, 2,22).

E così a nulla vale che il Creatore abbia messo a nostra disposizione una natura straordinaria, con monti, colline, laghi, fiumi e pianure stupende; a nulla vale che la nostra storia vanti addirittura i natali della città eterna e che abbia poi ospitato papi, santi ed imperatori; a nulla vale che da essa siano nati imperatori ed uomini d’ingegno; a nulla vale che in essa vi siano tesori unici (e miseramente abbandonati).

Sono sempre stato un appassionato di politica e, nonostante il naturale raffreddamento di questi ultimi anni, mi ha sempre colpito l’assordante silenzio dei vari ed innumerevoli candidati sulla necessità di valorizzare e restituire alla città tesori così preziosi (tra essi il Ponte Romano).

Mai nessuno si è neanche lontanamente sognato di proporre – nella sua campagna elettorale – che il magnifico affresco venisse finalmente restituito alla città: non allora, quando l’appartenenza del sito all’Esercito e la leva obbligatoria lo rendeva oggettivamente difficoltoso, né tantomeno ora che oramai da quasi dieci anni la “naja” non esiste più (con la Verdirosi semideserta) ed anche il ministro Pinotti (finalmente) parla della progressiva chiusura addirittura di 285 caserme. Un’iniziativa, immagino un po’ malignamente, elettoralmente assai poco redditizia e tale da necessitare un amore per l’arte e la cultura, coniugato ad altrettanto valide capacità giuridiche e di concertazione, che è merce assai rara, oramai e da anni, nel bagaglio dei politici sabini.

Il portone si chiude, di nuovo, e chissà per quanto.

Era il 17 luglio del 1994 quando a Ribe – la città più “antica” della Danimarca (700 ca. d.c.!!) – nella pizzeria italiana di un emigrante marchigiano ebbi la sfortuna di assistere alla finale poi persa ai rigori con il Brasile nel mondiale USA. Lì, a fianco, c’era il museo degli attrezzi agricoli.

È ora, si torna a casa. Sono di nuovo sottobraccio a mia moglie, come in quella caldissima estate: «i danesi: non sapranno nemmeno chi siano i Torresani – rifletto – ma certo avrebbero saputo cosa farne».

Uno squarcio d’azzurro fa capolino fra i maestosi cirrocumuli che incombono sulla valle santa: ha smesso di piovere.

Forse c’è speranza che anche qualcuno di noi, finalmente, capisca.

4 thoughts on “Lo strano caso del Giudizio Universale”

  1. edesantis2014edoardo

    Oltre 15 anni orsono in collaborazione con Giocondo Pasquali di Nuova Idea Video ho realizzato, in tre giorni di riprese, un documentario di circa 20 minuti, su quest’opera. Una copia in VHS dovrebbe essere ancora in possesso del Comando delle caserma Verdirosi. un’altra nell’archivio personale del Pasquali.

    Sarebbe bello rispolverarla.

    1. Ileana Tozzi

      Confermo: é un video realizzato nel 1995 con la sceneggiatura a quattro mani di Ennio De Concini e Ileana Tozzi, nel quadro delle iniziative de La carità Politica, promosse da monsignor Giuseppe Molinari, all’epoca vescovo di Rieti.

  2. Marco Giordani

    ci sarebbe da dire molto sul perché la Caserma debba stare lì, occupando un terzo della città (tutti i problemi di traffico e parcheggi sarebbero magicamente risolti) e perché nessuno (tranne RietiVirtuosa) abbia parlato di questo in campagna elettorale.

    Ma la domanda che faccio è più semplice e limitata di ambizione: se pure la Caserma deve rimanere lì, ma a che gli serve l’Oratorio? perché non può essere restituito, non sporadicamente, nell’uso o nella proprietà alla comunità?

    1. edesantis2014edoardo

      Purtroppo o per fortuna è in mano all’Esercito, in quella caserna ci sono stato oltre 10 anni. In mano alle varie amministrazioni cittadine non voglio immaginare cosa potrebbe essere adesso. Comunque è indivisibile dalla struttura militare in quanto i piani superiori sono occupati dagli uffici della scuola NBC, comunque non è l’unico tesoro all’interno della struttura: vi è anche un rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale in perfetto stato di conservazione che si apre in una gritta naturale con stalattiti.

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