Smith e Juantorena: insieme per ricordare Mennea

Sono passati quarantacinque anni da quel pugno alzato stretto in un guanto nero, ma Tommie Smith, dentro, è rimasto lo stesso ragazzo di allora. Il volto serio e gli occhi vigili, seri, ma basta che un sorriso si apra sul suo volto per far capire il valore di questo grande atleta e grandissimo uomo.

È stata una lezione di vita quella che Smith ha regalato ai presenti, moltissimi, nella sala consiliare del Comune arrivati per salutare un uomo che ha segnato la storia, non dell’atletica, ma della comunità afroamericana. Tante le foto che lo ritraggono col pugno alzato sul podio di Città del Messico dove conquistò l’oro e il record del mondo sui 200 metri in un’Olimpiade segnata non solo dai successi sportivi, ma anche dalla mattanza di Piazza delle Tre Culture dove, dieci giorni prima dell’apertura dei Giochi Olimpici, i soldati, non si sa se per ordine diretto del presidente Gustavo Diaz Ordaz, iniziarono a sparare ad altezza d’uomo.

Fu una strage e nessuno rese noto il numero dei morti, anche se le vittime furono molte. Quello stesso anno l’uccisione di Bob Kennedy e Martin Luther King che si battevano per l’uguaglianza e contro le leggi razziali. E fu quel pugno alzato e arrabbiato di Tommie Jet Smith a dare una prima svolta a quella che sarebbe stata una nuova strada. Ma quello stesso pugno alzato tanto costò all’atleta statunitense che si vide additato, messo da parte, per aver alzato il suo braccio di fronte al mondo intero. «Quel gesto era mio, era voluto, cercato – ha detto deciso – e se non l’avessi fatto non sarei l’uomo che sono diventato».

Dopo 45 anni Smith è rimasto lo stesso e lo ribadisce affermando «non so cosa ho perso, so quello che ho guadagnato: la vicinanza alle persone, che è quello che fa una vita migliore».

Accanto a lui c’è Alberto Juantorena, l’atleta amico di Fidel Castro e vice ministro dello sport, due ori nei 400 e negli 800 a Montreal nel ‘76, che proprio a Rieti ha chiuso la sua carriera.

Meno introverso El Caballo, sorridente e spigliato, dispensatore di abbracci e battute per tutti. Un animo latino che tocca il cuore e ti regala perle di saggezza che solo un uomo sereno con se stesso e la sua vita può dare.

E il cuore viene fuori quando parla del Meeting di Rieti e lo definisce «diverso da tutti gli altri perché qui c’è un cuore grande, quello del mio amico Sandro (Giovannelli ndr) e di tutti i volontari che ti fanno sentire a casa».

Ma Tommie Smith e Alberto Juantorena sono arrivati a Rieti per ricordare un altro grande dell’atletica mondiale, che ora corre la sua corsa altrove, quel piccolo grande uomo del Sud, Pietro Mennea che lo stesso patron del Meeting, Sandro Giovannelli, ha voluto onorare con l’inserimento della gara dei 300 m al Guidobaldi.

Il 12 settembre 1979, undici anni dopo quel pugno alzato e quel record del mondo, sempre a Città del Messico, in occasione delle Universiadi, un ragazzo del sud, arrivato da Barletta, frantumò il primato di Tommie Smith fermando il cronometro a 19 “72. Un record che ha resistito 17 anni. Ora Pietro Mennea se non c’è più. Ma Tommie Smith lo ricorda bene quel giorno di quel giorno quando il suo tempo venne abbattuto da quello che lui definisce “un piccolo sgorbio bianco, ma con una forza immensa”.

«Ero arrabbiato? Forse per un attimo, ma poi mi sentì fiero perché era comunque un altro successo per l’atletica e per la sua gente. Ero felice che a riuscirci fu Mennea, un ragazzo che amava quello che faceva, amava correre e non è un caso che abbia dedicato tutta la sua vita allo sport. Il mio record era stato battuto, ma da un atleta e uomo straordinario».

Per Alberto Juantorena «Pietro era una persona speciale. Poteva sembrare chiuso e schivo, apparentemente chiuso, ma splendido quando si apriva. È stato un pilastro dell’atletica mondiale. Ed oggi essere qui per ricordare un amico e un campione come Pietro Mennea è una cosa che ci rende orgogliosi, me come il mio amico Tommie. Parlare di Mennea, per me, è parlare di un uomo speciale anche fuori dalle piste».

E i ricordi rendono l’emozione forte perché in tanti vanno con il pensiero a quel piccolo grande uomo che, contro tutto e tutti, riuscì a ritagliarsi uno spazio grande e incolmabile nell’atletica mondiale. E domenica, al Guidobaldi, Pietro era lì. Con quel suo volto tirato e le braccia al cielo.

Smith e Juantorena ricordano Mennea, ma non si tirano indietro nemmeno quando le domande dei giornalisti toccano temi importanti come la situazione in Siria. «Per chi ha combattuto per anni per i diritti civili e politici – dice Smith – è difficile vedere che oggi poco è cambiato, ma rimane la speranza che le cose si possano risolvere in modo diplomatico, che se ne esca nel modo migliore possibile con le parole e non con le armi. Per questo prego che non si debbano ricordare altre sofferenze».

Per Juantorena «devono esserci meno conflitti e più diplomazia. Perché attraverso confronti pacifici si può arrivare a soluzioni che non portano morte e distruzione. L’uso della forza è sempre sbagliato».

Il doping, l’atletica di oggi, i diritti umani. A tutto hanno risposto questi atleti che hanno impresso i loro nomi nella storia dell’atletica. E per due leggende come loro non si può non parlare di sogni. Che erano e che saranno.

Per Tommie Smith il sogno di “allora” era trovare «calzoni abbastanza lunghi per le mie gambe e una Bibbia da leggere. Questo mi basta va per essere felice». E i sogni da realizzare? «Ho ancora tanti sogni, ma per prima cosa vorrei vivere serenamente la mia vita con mia moglie. È insieme a lei che voglio realizzare tutti i miei sogni».

El Caballo Alberto Juantorena vive un sogno lungo tutta la sua vita perché «è lo sport il mio più grande sogno, fin da bambino. E proprio lo sport ha segnato tutta la mia vita. Mi ha dato grandi gioie e ancora oggi sto vivendo questo sogno. Perché lo sport è amore, incontri e amicizia. E oggi tutto ciò lo diviso con la mia bellissima e dolcissima moglie».