Si guarda al modello tedesco di partecipazione, ma è stato inventato dai cattolici…

Se il profitto è il fine ultimo, chi lavora è solo un “fattore di costo”, da tagliare. Ma se al centro di un’attività c’è il lavoro, e chi lo fa, gli obiettivi cambiano

Economia sociale di mercato: ci sono volute le parole di papa Francesco al Congresso nazionale della Cisl, per rispolverare nelle teste di tanti cattolici – alcuni dei quali impiegati nell’attività sindacale – una formula che merita di essere valutata con più attenzione in Italia. Non in Germania, dove è un pilastro dell’economia locale, che tra l’altro sembra andare discretamente bene…
Non è la terza via tra liberalismo e comunismo, come qualcuno l’aveva battezzata nei decenni scorsi. Il libero mercato non è messo in discussione: le sue regole sì. Rispetto alla parola profitto si dà invece maggior valore a quella di persona, contrariamente al liberismo più deregolamentato che negli ultimi anni, con la finanziarizzazione dell’economia, ha completamente distaccato i soldi dai destini delle persone. Interessandosi solo ai primi.
Non sono teorie fumose, ma un modo concreto di fare attività economica. Sia chiaro: l’abbiamo inventata noi italiani, noi cattolici quando abbiamo promosso tra la fine Ottocento e gli inizi Novecento lo strumento cooperativo e la nascita di banche, assicurazioni, aziende agricole, attività industriali e poi quella serie di imprese legate al welfare: scuole, ospedali, case di riposo…
In Germania l’hanno affinata adottando un capitalismo che non vede la contrapposizione frontale – e magari conflittuale – tra “padroni” e “lavoratori”, ma fa partecipare questi ultimi alla vita aziendale, alle scelte, alla suddivisione degli utili. Questo tramite un sindacato che ha da tempo scelto di non fare barricate ideologiche, ma di lavorare assieme a chi mette i capitali per generare un benessere diffuso, migliori condizioni lavorative, il mantenimento dei posti di lavoro nei momenti di crisi.
Se il profitto è il fine ultimo, chi lavora sarà solo un “fattore di costo”, da comprimere o tagliare se è necessario generare profitto. Ma se è il lavoro – e chi lo fa – al centro di un’attività, sarà questo l’obiettivo numero uno da perseguire, anche a scapito di un profitto più esiguo per chi fornisce i capitali. Così i sindacati tedeschi decidono assieme al management le condizioni lavorative, le retribuzioni, addirittura le grandi strategie aziendali.
Non è utopia, può essere realtà nel momento in cui politici, amministratori, sindacalisti si rendano conto che tra servire il denaro e servirsi dello stesso c’è una netta differenza. Anche qui in Italia: basta volerlo, informarsi, fare.