Intervista a Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma alla vigilia del Giornata della memoria. «Di fronte all’ignoranza, alla mancanza di cultura e di conoscenza è facile attaccare gli ebrei e crearli come capro espiatorio dell’incapacità di gestire i processi o di dare risposte ai bisogni della gente. La memoria è corta e fragile, la memoria va conservata, va custodita».
«Ci preoccupano tante cose: un dibattito politico e pubblico attraversato da toni troppo accesi ed un uso della parola violento e divisivo. La preoccupazione è un fatto positivo. Vuol dire che c’è sensibilità, attenzione. Il punto è che non si va poi oltre». Ruth Dureghello è la presidente della comunità ebraica di Roma. Alla vigilia del Giornata della memoria che si celebra il 27 gennaio, non nasconde la preoccupazione per i fenomeni di antisemitismo che hanno preso di nuovo di mira gli ebrei in maniera del tutto gratuita e violenta. Dalle pietre di inciampo divelte e rubate a Roma in disprezzo per le vittime della Shoah ai volantini inneggianti all’odio razziale che sono stati distribuiti tra i tifosi di una delle due squadre romane. La Giornata della memoria si celebra in ricordo della liberazione degli ebrei prigionieri dal campo di concentramento di Auschwitz, nel 1945. Quando furono aperti i cancelli, il mondo intero poté vedere coi propri occhi la ferocia nazista. Ma oggi quelle immagini sembrano essersi sbiadite e la memoria perduta rischia di lasciare spazio ad un male che può in ogni momento ritornare.
Perché nel 2019 prendersela ancora contro gli ebrei? Che cosa nasconde questo odio?
Gli ebrei sono i diversi per eccellenza. Siamo un popolo che ha voluto mantenere la propria cultura, tradizione e pensiero. Lo ha però fatto senza mai porsi distante o separatamente dagli altri. Anzi, il modello dell’integrazione ebraica in tutta Europa è fondamento e principio dei valori europei e su cui anche la nostra Italia ha fondato i suoi principi di appartenenza e di esistenza. Di fronte però all’ignoranza, alla mancanza di cultura e di conoscenza è facile attaccare gli ebrei e crearli come capro espiatorio dell’incapacità di gestire i processi o di dare risposte ai bisogni della gente. La memoria è corta e fragile, la memoria va conservata, va custodita. Bisogna anche usarla in maniera corretta.
Lei da dove comincerebbe per contrastare odio e razzismo?
Sempre e solo dalla scuola, dai giovani e dalla responsabilità di ognuno. Molto spesso siamo abituati a delegare ad altri, anche quello che ci appartiene, la nostra umanità, il nostro saper convivere. La pace è un privilegio che abbiamo conquistato sul sangue dei martiri della Shoah e delle vittime della seconda guerra mondiale. L’abbiamo conquistata con le idee e con la forza di persone che hanno saputo vedere oltre. Quindi, pessimisti? Sono una positiva di natura, ma al di là del pessimismo, quello che ci ha insegnato la storia, come ebrei, è che anche di fronte alle difficoltà maggiori, anche di fronte alla volontà di chi ti vuole sterminare, siano gli antichi romani o i greci o nell’epoca moderna, bisogna rispondere pensando che non sia qualcun altro a dover fare al nostro posto ma che tutti dobbiamo contrastare. Se non io per me, chi per me? Questo vale per ciascuno di noi.
La Giornata della memoria che cosa vuole dire ai cattolici italiani?
Io vorrei solo dire che non può essere un giorno solo il momento in cui ci soffermiamo a pensare quanto un uomo può essere crudele verso un altro uomo. E quanto male può procurare e quanto è pericoloso per l’umanità intera permettere a chiunque di sopraffare l’altro. È un messaggio che vale per il mondo cattolico ma anche per il mondo islamico: rimettere l’uomo al centro della storia, rimettere Dio al centro della storia, la famiglia e l’educazione, i valori su cui insieme crediamo e continuiamo a crescere.