Sta per essere pubblicato un bel libro – arricchito da molte foto originali – sull’incontro dei ragazzi del Servizio Civile Europeo con i rifugiati arrivati nel progetto Sprar affidato dal Comune di Rieti alla Caritas diocesana
Hamsa, a 16 anni, per arrivare in Italia, ha affrontato un viaggio di sei mesi. Ha attraversato l’Etiopia, il Sudan e il deserto del Sahara. È arrivato sulle coste della Libia. Poi lo sbarco a Lampedusa, su una piccola barca, insieme a un altro centinaio di persone. Un viaggio pagato 5000 dollari ai trafficanti di esseri umani.
Z.A. è nato in Siria nel 1986. Nonostante le difficoltà, è riuscito a frequentare per due anni la facoltà di medicina e si è laureato in farmacia. Non aveva ancora finito gli studi e già lavorava in un ospedale a Damasco. Ma lo scoppio del conflitto siriano, nel 2011, lo ha costretto a lasciarsi tutto alle spalle, senza nessuna possibilità di scelta.
Stahil è nata 22 anni fa a Mogadiscio, in Somalia, paese dichiarato “stato fallito” dalle Nazioni Unite, devastato dalla fame e dalle numerose controversie tribali. La sua infanzia stata molto diversa da quella di qualsiasi bambino europeo. Dopo l’arrivo in Italia, non sapeva come usare una matita, ed era sorpresa di vedere l’acqua uscire dal rubinetto. Ma a renderla speciale era un’altra cosa: non sapeva comunicare in nessuna lingua conosciuta. E imparando faticosamente l’italiano sembra fare proprie solo le parole positive, ottimistiche, quelle che servono per parlare del suo futuro, ma non del suo passato.
Sono alcune delle storie raccolte dai cinque volontari del Servizio Civile Europeo in forza fino a pochi mesi fa presso il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati affidato dal Comune di Rieti al Gruppo di volontariato “Il Samaritano” della Caritas diocesana. Il progetto era nato con alcune interviste ai rifugiati, in parte realizzate con il supporto della redazione di «Frontiera» per essere pubblicate sul giornale diocesano, ma poi ha trovato una vita propria, fino ad assumere la forma di un interessante libretto di prossima pubblicazione.
E il punto di vista, in effetti, è davvero originale. Proviene da chi si pone l’obiettivo di mettere in comunicazione i rifugiati con la comunità locale, ma senza conoscere inizialmente nessuna delle due parti. Può sembrare uno svantaggio, ma non lo è se si risolve in un maggiore sforzo di comprensione e in un’assoluta mancanza di pregiudizio.
«In meno di un anno ho incontrato persone e ho sentito storie che pensavo esistessero solo nei film drammatici. Cicatrici che hanno un passato di tale sofferenza, che sarebbe insopportabile per qualsiasi essere umano», racconta la volontaria portoghese Susana, che dei rifugiati sottolinea «la timidezza iniziale, la gratitudine insistente, i rari sorrisi, la battaglia quotidiana per essere accettati come esseri umani».
«Abbiamo tutti dei modi diversi di concepire e di definire il rispetto, la pazienza, l’umorismo», spiega Oriana, volontaria francese: «Questo non riguarda da dove veniamo, ma piuttosto che esseri siamo. Abbiamo delle esperienze di vita diverse, perciò altri punti di vista da spiegarci e un’altra cultura da scoprire».
Mentre Felipe, volontario spagnolo, denuncia il limite di conoscere la realtà solo attraverso gli schermi, della Tv come del tablet, e si accorge che a confronto con i rifugiati «abbiamo tutto, eppure ci manca il sorriso. Siamo veramente poveri se ci interessa solo la ricchezza materiale. I richiedenti asilo, giovani e meno giovani, ma sempre con il mondo contro, li ho visti ballare come se nessuno li stesse osservando, divertirsi, giocare, avere momenti di felicità come non ho visto mai».
«Ho compreso cosa vuol dire essere cittadini europei, capito il grande privilegio di essere nata qui», conclude Louise, volontaria scozzese. «Questa esperienza mi ha ispirato e continua a ispirarmi a lottare per un’Unione in cui gli ideali europei devono essere messi più in pratica».
Si sente che è una lingua di pace quella che si parla in via Sant’Agnese, nei locali in cui la diocesi porta avanti il servizio ricevuto in affido dal Comune. E di questi tempi è questo un fatto a cui non si può che guardare con gratitudine.