Riforme: per affermare che l’Italia è governata

Risistemati i rapporti tra Stato e Regioni, dopo la sbandata della riforma del 2001, e soprattutto cambia il Senato, più che dimezzato negli effettivi, non più elettivo e senza indennità. Scompare il Cnel. Non mancano molti altri provvedimenti, solo apparentemente di dettaglio, come i nuovi quorum per l’elezione del Capo dello Stato. Poi toccherà alla legge elettorale.

Degli aspetti tecnici si potrebbe discutere ancora molto a lungo, senza riuscire ad arrivare ad un approdo convincente. Ma urge la decisione politica. Così si può sintetizzare la questione della riforma costituzionale, ormai al passaggio decisivo.

Scompare il Cnel, non rimpianto da nessuno, sono risistemati i rapporti tra Stato e Regioni, dopo la sbandata della riforma del 2001, e soprattutto cambia il Senato, più che dimezzato negli effettivi, non più elettivo e senza indennità, almeno formalmente definita. Non mancano molti altri provvedimenti, solo apparentemente di dettaglio, come i nuovi quorum per l’elezione del Capo dello Stato, per i referendum, tutte questioni molto delicate, nel rapporto efficienza/garanzia, il crinale decisivo delle politiche istituzionali.

Il rilevante consenso a Renzi è fondato soprattutto su due misure, che hanno immediatamente raccolto un apprezzamento trasversale, gli ottanta euro e il tetto agli stipendi pubblici: c’è tra la gente voglia di maggiore uguaglianza e maggiore sobrietà, mentre le distanze tra ceti e classi continuano a crescere, in Italia e in Europa e la crisi continua a mordere.

Per questo le riforme si devono fare e i dubbi tecnici finiscono per passare in secondo piano. Fare le riforme diventa una sorta di conferma e accreditamento.

Innanzi tutto nel sistema politico italiano, che è più che mai Renzi-centrico. La prova di forza con Grillo alle Europee ha determinato da un lato uno stop alla fase espansiva del M5S, costretto così ad un dibattito interno. Le ulteriori vicende di Berlusconi sul piano giudiziario hanno vincolato Forza Italia al tavolo di una riforma condivisa, ma ad evidente propulsione renziana.

Il secondo (e decisivo) versante è quello europeo. Mostrare di sapere fare le riforme è un modo per affermare che l’Italia è governata e dunque è in grado di adempiere agli impegni, anzi, di avere voce per negoziarli.

Il voto per la riforma avvia un processo complesso, saranno necessarie almeno altre tre votazioni nell’arco di tre mesi, ma chiude una prima fase del governo.

E ne apre un’altra, il cui orizzonte temporale lo stesso Renzi ha fissato in mille giorni. In realtà a definire la prospettiva temporale di questa nuova fase contribuiranno le vicende della legge elettorale, il cui iter dovrà tenere conto delle nevrosi che si stanno accumulando in diverse forze politiche, e soprattutto dipenderà dall’evoluzione della situazione economico-sociale, i cui nodi, come sempre, si avvertiranno in autunno.

Avanti, dunque, sotto la pressione dello stato di necessità e con la certezza che il quadro istituzionale è decisivo, ma ancor più importante è la stoffa dei protagonisti, ovvero in questo caso dei rappresentanti.

Che tuttavia, nella media, come già avevano capito i primi scienziati della politica, nel diciannovesimo secolo, non sono né migliori né peggiori dei cittadini. Ne riflettono vizi e virtù. Senza sconti per nessuno.

Tutto si tiene, nei sistemi democratici.