A leggere sui social, e non solo, si direbbe che viviamo in una città incattivita. L’argomentare è quello dei «calci nel culo». Le parole sono usate per annunciare «il disprezzo più profondo». Il clima è quello del «tempo di guerra», o almeno di guerriglia: fatto di «blitz», incursioni in terra nemica, esplosioni di rabbia.
In molti si comportano come iene: vivono raggruppati in branchi o “clan”, formati da individui molto uniti tra loro (anche una decina), che difendono strenuamente il loro territorio di caccia.
Si danno continuamente alla battaglia, ma in realtà sembrano aver già vinto la depressione, la delusione, la sconfitta. Lo si vede dalla narrativa che li accompagna, dalle chiose nei titoli dei giornali: «è bufera»; «è il caos»; «incubo senza fine»… Pare ci siano da raccontare solo conflitti e recriminazioni.
Messe così le cose, si può cedere alla disperazione o decidere di cambiare registro. Si può ancora ritrovare la fiducia, confidare in una logica positiva. Si può coltivare l’idea che tra una tesi e un’antitesi è sempre possibile una sintesi. La cultura del muro contro muro può essere senz’altro superata da quella dell’incontro.
Certo, per andare verso l’altro occorre essere disponibili a fargli spazio. Che poi vuol dire mettere il coinvolgimento avanti alla malafede, l’impegno avanti alla negligenza, il servizio avanti all’accusa. Si tratta cioè di cambiare il segno del proprio coinvolgimento personale.
Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Comunicazioni Sociali, papa Francesco invita i giornalisti a cogliere in ogni fatto lo scenario di una possibile buona notizia. Chiede agli operatori dei media di non concedere mai «al male un ruolo da protagonista», cercando piuttosto di «mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone».
È detto ai professionisti della comunicazione, ma suggerisce a ciascuno di ritrovare la prospettiva del bene come antidoto al senso di precarietà e di spavento che ci circonda, a questo inesorabile scivolamento nell’apatia e nella disperazione. Per come vanno le cose oggi, quando non si soccombe alla rabbia sorda, alla denuncia rancorosa, al gusto per le accuse alla rinfusa, si dà già una buona notizia. In un certo senso, forse, “si è” una buona notizia.
foto di Massimo Renzi