Ricostruire con la gente. A quasi due mesi dal terremoto parla il vescovo Pompili

Anche per la Chiesa, un impegno a stare accanto alle persone. Le strade della condivisione, l’attenzione ai piccoli centri, il sostegno all’economia locale

Ha compiuto il suo primo anno da vescovo di Rieti il 5 settembre scorso.

Per monsignor Domenico Pompili, l’anniversario di episcopato è coinciso con la prima fase del post– terremoto e la vigilia dell’incontro pastorale di Contigliano, del quale è stata reimpostata la prospettiva in considerazione della tragedia vissuta. Dunque, per Pompili, e per la Chiesa locale, nessun festeggiamento, ma lavoro intenso di condivisione e di assunzione di responsabilità, con intere giornate trascorse nell’Amatriciano, dove il 4 ottobre ha accolto la visita di papa Francesco. Abbiamo voluto fare “il punto” della situazione con il giovane pastore della diocesi che ha registrato, nel proprio territorio, le conseguenze più disastrose dell’evento del 24 agosto.

Il sisma ha cambiato in diversi sensi l’agenda del cammino diocesano: possiamo dire che don Domenico si sente vescovo di una “Chiesa terremotata”?

«Il terremoto è stato una tragedia di portata inqualificabile. Soprattutto per quello che riguarda le persone, che sono devastate nei cuori. Bisogna sperare che con il tempo riescano a rimettersi in cammino. Però direi che questa scossa così drammatica ci riguarda tutti. Perché come Chiesa ci chiama a farci vicini, ad accompagnare questo processo di elaborazione. E insieme perché deve essere per noi una scossa di altro genere: dai grandi colpi della vita si impara sempre qualcosa di utile. Ci costringono ad andare oltre la superficialità che spesso ci caratterizza. È vero sotto il profilo spirituale e religioso, come per quello sociale ed economico».

Il presidente del Consiglio Renzi si è nuovamente recato nelle zone terremotate, nel giorno in cui il Governo ha approvato il decreto atteso: decreto che punta alla rinascita di paesi che già hanno subito negli ultimi cinquant’anni un forte abbandono. Si spera che gli aiuti riescano a frenare un ulteriore spopolamento di questi centri?

«Sì, mi pare che questa attenzione per le aree interne sia una delle novità del decreto varato dal Governo. Ma nel nostro territorio il problema andrebbe letto in termini più ampi. Molti paesi dell’entroterra stanno affrontando questo processo doloroso. Più che ad Amatrice – che in fondo, prima del sisma, aveva dato forma a un suo sistema turistico – penso soprattutto alla Valle del Salto e al Cicolano. Lì la situazione negli anni è andata precipitando in modo più marcato».

Il Governo ha scelto di finanziare anche la ricostruzione delle seconde case: come comunità ecclesiale si guarda con favore a questa scelta?

«Nel finanziare la ricostruzione delle seconde case, il Governo ha dimostrato di aver capito la natura del territorio, la sua struttura economica e sociale. La Chiesa è chiamata ad avere la stessa intelligenza, a calare l’attività pastorale nel reale vissuto delle persone. Lo schema secondo cui sono state riviste le zone pastorali, ad esempio, segue anche questo ragionamento».

Questa vicenda spinge a riflettere sull’importanza di valorizzare i piccoli centri: sul piano pastorale non si tendeva, invece, ultimamente, a dire forse un po’ il contrario, e cioè che se la maggior parte della gente vive in città non ha molto senso spendere troppe energie per correre dietro ai piccoli campanili?

«La riflessione sulla pastorale non può essere slegata dalle spinte che muovono la società. L’annuncio del Vangelo richiede anche la capacità di cogliere le tendenze, il talento di saper interpretare il proprio tempo. E da questo punto di vista il fenomeno dell’urbanizzazione sembra ormai un processo irreversibile. Ma si possono riconoscere anche movimenti diversi. Al giorno d’oggi le grandi città mostrano tutte le loro falle e le loro deficienze. Non manca chi le lascia alla ricerca di periferie più qualificate e sostenibili. Abitiamo un mondo complesso, nel quale è possibile percorrere strade diverse: su ciascuna di esse deve essere possibile incontrare la Chiesa».

Si punta a far ripartire l’economia di questi paesi anche con iniziative mirate, come l’idea di dar vita a un’azienda produttrice di sugo all’amatriciana. In questo può offrire un contributo anche l’intervento ecclesiale, per esempio attraverso la Caritas?

«Mi pare che la valorizzazione della produzione locale sia la scelta di sviluppo economico più adatta al nostro contesto. Altri modelli li abbiamo importati, ma hanno avuto il successo di una stagione, spesso perché legati a fattori esterni, come i finanziamenti pubblici, che ad un certo punto sono venuti a mancare. Nelle zone del terremoto la Chiesa ha da subito contribuito in vario modo al soccorso dell’agricoltura e dell’allevamento e ulteriori interventi di sostegno all’economia sono allo studio».