Gli effetti sono piuttosto modesti e le modifiche si limitano ad inasprire le sanzioni per i magistrati, che potranno arrivare alla metà dello stipendio, e ad allargare i casi sollevando l’ipotesi di negligenza grave e travisamento del fatto e delle prove. Nessuna rivoluzione dunque: si tratta, come si legge nel primo articolo, “di rendere effettiva la disciplina”, anche alla luce delle norme europee
È andata in porto la legge che reca “disciplina della responsabilità civile dei magistrati”: sette articoli che modificano, in senso più rigoroso, la legge del 1988, a sua volta approvata sulla base di un referendum plebiscitariamente votato nel novembre 1987.
Bastano solo queste date per dimostrare quanto lungo, impervio e accidentato sia stato e continua ad essere il dibattito su un tema molto significativo, che si snoda lungo tre Repubbliche, la prima che declina, la seconda ormai archiviata e la terza che sta delineandosi. In realtà quello che conta non è tanto il merito del provvedimento. Gli effetti sono piuttosto modesti e le modifiche si limitano ad inasprire le sanzioni, che potranno arrivare alla metà dello stipendio, e ad allargare i casi, per cui si può invocare la responsabilità anche in caso di negligenza grave e travisamento del fatto e delle prove. Nessuna rivoluzione dunque: si tratta essenzialmente, come si legge nel primo articolo, “di rendere effettiva la disciplina”, anche alla luce delle norme europee. Tuttavia non sono mancate le polemiche e le discussioni, proprio per il secondo e decisivo aspetto del provvedimento, ovvero il fatto stesso di intervenire sul delicatissimo crinale del rapporto politica-istituzioni-magistratura, che appunto, proprio da quasi trent’anni, è all’ordine del giorno. La fine della prima e tutta la tormentata storia della seconda repubblica, infatti, chiamano certamente in causa questo delicatissimo rapporto. Ma non c’è solo il tema della debolezza e della crisi del sistema politico e della indubbia forza del corpo della magistratura. C’è anche un’altra questione strutturale, il fatto cioè che in questo momento storico, di fronte a inediti problemi e alla grande difficoltà di prendere delle decisioni, non solo in Italia, ma nella gran parte dei paesi occidentali e anche a livello di Unione Europea il ruolo delle corti cresce in misura inedita.
Proprio su questo decisivo e delicatissimo versante simbolico si colloca l’iter relativamente rapido della legge, iniziato in Senato nei primi mesi della legislatura, un anno e mezzo fa, per iniziativa parlamentare. Vuole proprio affermare la necessità di chiudere, o anche semplicemente di superare, questo strutturale problema di conflitto potenziale. Proprio le grandi sfide sistemiche che ci stanno dinanzi comportano la necessità di recuperare un circuito virtuoso di relazioni, in un sistema di bilanciamento, equilibrio tra i poteri. Così si spiega appunto da un lato il carattere moderato della legge dall’altro il fatto che le reazioni, ovviamente negative, dell’associazione dei magistrati non abbiano portato a forme di contrapposizione clamorose.
Questa legge allora può rappresentare un segnale: per superare le retoriche, che utilizzano e amplificano le contrapposizioni e affermare un riformismo possibile. Dove ciascuno faccia il proprio dovere e giuochi il proprio ruolo, in un quadro condiviso.