Un reatino sull’Himalaya

È tornato a casa l’alpinista reatino Enrico Ferri. È tornato da un lungo viaggio. Un viaggio tra ghiacciai e foreste, tra fiumi e cascate. Da un viaggio che lo ha portato dall’altra parte del mondo sulle vette e i ghiacci dell’Himalaya. E racconta di un mondo che «non si può immaginare da qui. Pensi di sapere cosa troverai ed invece è una sorpresa continua. Anche i sassi sono diversi da quelli che potresti trovare qui.

È tutto straordinario. La flora, i paesaggi, tutto ciò che ti circonda». A raccontare il suo viaggio e quello dei compagni del Cai ci sarà lui con tutti i componenti del team italiano della spedizione internazionale del CAI. Sette gli alpinisti partiti ed ora tornati alla base e tra loro c’era anche Enrico che è partito con le sue macchine fotografiche per “raccogliere” immagini ed attimi di un viaggio e di un mondo ai più sconosciuto.

Oltre quarantacinque giorni passati tra i monti dell’Himalaya, isolati dal mondo e senza alcun collegamento.

«Non avevano né i telefoni satellitari, né ovviamente alcun collegamento alla rete e quindi – racconta Enrico – affidavamo le nostre notizie e i saluti alle staffette che scendevano nel paese più vicino dove c’era la possibilità di inviare i messaggi via internet. Per utilizzare il computer per scaricare le foto, avevano portato dei pannelli solari. All’inizio nessuno credeva potessero funzionare ed invece ce l’abbiamo fatta. Quindi tecnologia “pulita” nella natura estrema».

Con Enrico hanno vissuto quest’avventura ai confini del mondo Alberto Peruffo, Francesco Canale, Cesar Rosales Chinchay, Davide Ferro, Anindya Mukherjee e Andrea Tonin, tutti guide esperte che hanno saputo trovare un perfetto affiatamento. Oltre alle “meraviglie” dei luoghi e della natura, la spedizione ha raggiunto anche i principali obiettivi che si era posti sia in ambito geografico che culturale.

Quindi un successo immenso che ha saputo coniugare l’impresa alpinistica con una serie di incontri e situazioni di cui parlerà il 21 giugno lo stesso Enrico, come pure i suoi compagni di scalata, durante l’incontro all’Auditorium Varrone. E la città sarà lì ad ascoltare, a guardare, a stupirsi.

Quella che racconteranno Enrico ed i suoi compagni di avventura, come scrive Ines Millesimi, consigliere Cai di Rieti, «è la storia di natura e culture che si sono incontrate, cariche di mistero, diversamente ricche di tesori immateriali: in tibetano il Massiccio del Kanchenzonga, il colossale Ottomila che con il suo imponente versante Sud si spalancava tra le nebbie ai loro occhi, significa infatti “I Cinque Tesori della Grande Neve”. Per la prima volta il gruppo ha perlustrato terre dove non è stato mai messo piede umano, salito cime vertiginose e colli di oltre 6000 metri, mappato nuovi ghiacciai, documentato con foto e descrizioni l’inospitale e impenetrabile “foresta verticale”, caratterizzata da continui saliscendi, torrenti e gole da oltrepassare o aggirare».

«Cime vergini mai toccate da piede umano, colli di alta quota di cui tre mai raggiunti prima ed ancora ghiacciai, foresta tropicale impenetrabile e pericolosa che sembrava un mondo a parte e dove le guide locali non sono entrate con piacere».

Tutto questo ed altro ancora è stato il viaggio di Enrico e della spedizione. Ed ora vogliono condividerlo con chi li aspettava a casa. E per questo il team realizzerà anche un libro, un cortometraggio e una mostra su questa che non può essere definita soltanto un’esperienza di alpinismo. Perché è stato “altro”.

La “Zemu Exploratory Expedition” è stata innanzitutto una “porta” che ha aperto, sempre Ines Millesimi, «nuove frontiere dell’esplorazione in Himalaya».