Il presidente della Repubblica è stato chiaro. Sono passati due mesi e più, si deve comunque procedere a un nuovo governo. Con le prospettive che indicherà il Parlamento: fiducia, sfiducia o non sfiducia. Parole antiche, quelle su cui aveva lavorato Moro prima del suo assassinio, che proprio in questi giorni si commemora.
Con il suo modo, sereno e pacato, semplice e lucido, il presidente della Repubblica è stato chiaro. Sono passati due mesi e più, si deve comunque procedere a un nuovo governo. Con le prospettive che indicherà il Parlamento: fiducia, sfiducia o non sfiducia. Parole antiche, quelle su cui aveva lavorato Moro prima del suo assassinio, che proprio in questi giorni si commemora.
Già, Moro. Così lontano e così vicino.
Nelle tante manifestazioni che lo ricordano oggi, quarant’anni dopo, siamo tutti interessati ai “misteri”. Ricerca inutile. Purtroppo forse non ci sono sensazionali verità da svelare: c’è piuttosto una ordinaria banalità del male ideologico, che ha ammazzato prima la sua scorta e poi lo ha assassinato, e c’è la banalità del male e degli interessi di quei tanti che hanno speculato, in qui giorni drammatici, sulle dinamiche del terrorismo degli anni Settanta, servizi e faccendieri di tutte le provenienze.
Moro allora, come tutti gli statisti della seconda metà del secolo scorso ci insegnerebbe, come ha insegnato allo stesso Mattarella che la politica è professione e passione. Non è una perenne campagna elettorale, ma implica la responsabilità di rappresentare e, dunque, di governare. È la capacità di disegnare visioni, ma nello stesso tempo di costruire percorsi. È conflitto, ma anche incontro, è azzardo, ma anche compromesso. E soprattutto è inserita in un tessuto, in una comunità, cui deve rispondere. Tutto stritolato dalla frammentazione individualistica.
Tutto questo ha cercato di dire Mattarella, nelle sue parole accorate ma nello stesso tempo realistiche.
Come sempre l’Italia è in bilico, in questo senso tra la Spagna e la Germania. Qualche tempo fa in Spagna si è votato e rivotato, con risultati ovviamente non molto differenti. In Germania si è discusso tra i partiti, prima in una direzione e poi nell’altra e si è costituito un governo retto da un accordo molto dettagliato.
C’è una terza via? Ce lo dovranno dire i nostri leader, come si proclamano. Il problema è che da quando ci è stato spiegato che le alternanze avrebbero risolto tutti i mali del sistema italiano, ovvero da un quarto di secolo a questa parte, tutti i leader, piccoli e grandi, vecchi e giovani, hanno imparato molto bene a fare le campagne elettorali, a vincere le elezioni, ma poi entrano in confusione, brancolano di fronte alle responsabilità di governo.
Ecco, allora, la seconda domanda: se i nostri rappresentati sono impegnati sempre in campagna elettorale, chi governa? I tanto deprecati tecnocrati di Bruxelles o i cosiddetti poteri forti?
Se è difficile dare delle risposte quantomeno porsi le buone domande può aiutare.
Nella campagna elettorale permanente noi elettori siamo trattati da consumatori: un marketing aggressivo ci tiene sempre sull’orlo di una crisi di nervi. In questo modo però la moneta cattiva scaccia quella buona e ci troviamo tutti più poveri. Si ritrova più povero tutto il Paese. Con il rischio crescente della più evidente irrilevanza. Che si misura poi concretamente nel portafoglio di tutti noi.