Don Roberto Repole, presidente dell’Associazione teologica italiana, riflette su un tema di grande attualità: “Dio e la sua salvezza. Il dramma della storia e il compimento della libertà”. “La Chiesa – dice – è chiamata a scoprire i germi di salvezza, di bontà, di dono che ci sono nell’umanità, ad accettare la sfida di aprirsi a un dialogo aperto e sincero con tutti gli uomini e le donne che condividono con noi le attese e le speranze della nostra storia”
“Mai come in questo momento storico non è sufficiente il formalismo della fede. C’è bisogno di credenti che abbiano fatto una esperienza forte dell’amore di Dio nella loro vita e la sappiano donare agli altri come via di salvezza per se stessi e per il mondo”. A parlare è don Roberto Repole, presidente dell’Associazione teologica italiana, a margine del XXV Congresso nazionale che ha scelto quest’anno per tema “Dio e la sua salvezza. Il dramma della storia e il compimento della libertà”. Un tema – ammette don Repole – che potrebbe non sembrare “attuale perché il mondo in cui viviamo, talvolta, può dare l’impressione di non avvertire il bisogno di salvezza e di far sempre più leva sull’idea che l’uomo possa salvarsi da solo, ma non è detto che sia sempre così”.
E come è?
È la profondità delle crisi che stiamo attraversando a dirci che l’umanità è in balia di se stessa. Il vorticoso sviluppo tecnologico e un’economia fondata sul liberismo, frutto – come dice papa Francesco – della idolatria del denaro, stanno facendo vittime. L’ingiustizia, per esempio, è una dimensione in cui appare evidente che ci troviamo di fronte a un cortocircuito. Le dimensioni della crisi sono enormi. L’ingiustizia colpisce interi popoli. Basta solo pensare alle conseguenze che ha sul fenomeno delle migrazioni. Dall’altra parte, assistiamo ad una violenza radicale e diffusa. Papa Francesco parla addirittura di una terza guerra mondiale a pezzi. E, infine, preoccupa la dimensione della crisi ecologica: siamo oggi in un mondo dove forse, per la prima volta, avvertiamo chiaramente che questo tipo di progresso e sviluppo compromette la vita della terra e dell’uomo sulla terra.
C’è poi una violenza che abita i nostri cuori ed emerge nella quotidiana incapacità a dialogare, ad accettare la diversità dell’altro.
È la violenza dell’automobilista, dei social network, dell’uomo che uccide la donna.
Una violenza che mette a nudo la grande rabbia che serpeggia nel profondo la nostra umanità e laddove c’è una forte rabbia, c’è una forte insoddisfazione.
C’è una certa cultura narcisistica che può indurre le persone a pensare di essere tutto, di potersi salvare da sole. Convinzione che poi inevitabilmente si scontra con la realtà e i nostri limiti e in ultima analisi, con la finitudine della vita.
Perché l’uomo non può affrontare da solo le sfide di se stesso e della storia?
È la situazione in cui viviamo a dimostrare l’incapacità dell’uomo di salvare se stesso. Perché se fosse capace di farlo, non ci sarebbero questi drammi. All’apparenza sembra che la domanda salvifica non ci sia. Se poi si guarda in profondità, ci si accorge che
per molti la domanda c’è ed è anche una domanda molto concreta.
E dove va a finire questa domanda?
Di fronte alle sfide della miseria, dell’ingiustizia, della violenza diffusa, della crisi ecologica, ci potrebbe essere l’idea un po’ magica di un Dio buono che interviene dall’alto, armeggiandoci tutti come delle marionette. Ma non è così. È piuttosto la possibilità di scoprire il volto di Dio che si è rivelato in Gesù, di riconoscere il modo con cui Dio opera in noi e nella storia, di diventare come Gesù responsabili, aprendosi agli altri in modo nuovo.
Chi sono oggi i credenti “credibili”?
Il credente è colui che è capace, come ci invita papa Francesco, di misericordia. È una persona che ha fatto l’esperienza di essere amata, e di essere accolta nonostante il suo limite, anzi direi di più, soprattutto per le sue miserie e il suo peccato.
Un amore, quello di Dio, capace di sanare, di ridarti la vita, di toglierti dall’oscurità, convertendoti a una vita nuova.
È dunque una persona che proprio perché ha fatto questa esperienza, è capace di immettere misericordia in questo mondo. Di annunciare il Vangelo di un Dio che ha a cuore le ferite dell’umanità, non le giudica, non cerca il colpevole ma opera nel cuore dell’uomo spingendolo a lenire le tensioni e gli impeti di violenza, a sanare le incomprensioni e tessere legami di fraternità. Solo credenti che abbiano fatto veramente l’esperienza di essere amati, possono essere capaci di un amore così.
È dunque l’amore di Dio la salvezza a cui anela l’uomo senza saperlo?
Personalità come Chiara Lubich e Serafino di Sarov sono l’emblema di questa vita nuova del credente. Persone, cioè, che hanno fatto spazio a Dio e hanno trasformato radicalmente la loro vita, i loro sentimenti, le scelte di vita, i modi di pensare e giudicare la storia, di abitare il tempo. Se la fede è una formalità, lo è perché evidentemente non siamo stati toccati noi per primi. Oggi mi sembra sia arrivato il tempo (se mai ce ne sia stato un altro) di dire che la salvezza non è un’idea, come non è un’idea la fede ma è un’esperienza di amore che salva. Ed è anche il tempo in cui la Chiesa è chiamata a scoprire i germi di salvezza, di bontà, di dono che ci sono nell’umanità. E da questo punto di vista, è anche il tempo di accettare la sfida di aprirsi a un dialogo aperto e sincero con tutti gli uomini e le donne che condividono con noi le attese e le speranze della nostra storia.