Poesia come speranza. In libreria la prima antologia poetica di Alessio Brandolini

“Apri la porta per favore”.
“Chi sei?”.
“Come chi sono? Sono io!”.
“Io chi?”.
L’incapacità di conoscere e amare davvero l’altro in un mare di stanze ben arredate, di macchine pagate per velocità abissali che non servono a nulla, in strade tappezzate di scarti diventati beni di prima necessità indotta dalle nuove pseudo-estetiche, questi sono gli elementi più immediatamente percepibili leggendo la prima antologia poetica di Alessio Brandolini, “Il futuro è un campo incolto” (La Vita Felice, 164 pagine).
Brandolini è uno degli scrittori più interessanti tra quelli operanti oggi in Italia (i suoi testi vengono tradotti in diverse lingue), non fosse altro per la sua capacità di non cercare il personaggio, il caso mediatico, ma semplicemente di maturare una poetica dello sguardo che ha poco a che fare con “La scuola dello sguardo” degli anni Cinquanta francesi, ma che in compenso ha molto da dire nella realtà di oggi.
Fuori e dentro sono in instabile equilibrio nella poesia dello scrittore-editore, e questo è un motivo a favore dei suoi versi, facilmente riconoscibili nel nostro panorama poetico: scarni anche quando superano le abituali misure, allusivi e mai direttamente posti a commento, anzi, talvolta strumento di una interiorità che esprime nel grumo di parole l’impossibilità di dire davvero l’oggi. E l’oggi di Brandolini è la gabbia della città, la solitudine non romanticheggiante e liricizzante, ma aggrovigliata in catene di contraddizioni ormai endemiche, fatte di benessere apparente e di dolore interiore, di massa e di solitudine: “Ci si strozza e gonfia a forza di cibo avariato/ come adesso che è tardi e a casa ci aspetta/ il monotono ronzio della lavastoviglie/ l’ipnotico chiacchiericcio del salotto televisivo”.
Nessuna via d’uscita? Sì, a patto di abbandonare l’estenuato corteggiamento del proprio ego, la fissazione sui propri bei pensieri, gli occhiali talmente affumicati dalla paura e dall’assuefazione da non vedere più ciò che è ad un passo dal nostro naso. Nelle sette raccolte poetiche qui ampiamente riprodotte, lo scrittore presenta alcuni salati conti: la terra, intesa come campagna abbandonata e talvolta derisa; la città, non (più) in grado di essere il luogo per eccellenza dell’uomo perché anzi ne rappresenta il lato perverso e animalesco; il mare, visto nella sua duplice natura di luogo per stanche e silenti inutili vacanze e spazio della morte per i nuovi popoli del mare che fuggono dai disastri bellici e ecologici. Quei viaggi non sono gli occidentali viaggi di piacere. Finiscono talvolta con la morte per acqua, e Brandolini dedica a coloro che non sono mai arrivati nei nostri porti la raccolta “Il fiume nel mare”: “ai morti nel Mediterraneo. In cerca di una casa, in cerca di un lavoro”. Le ragioni di questa poesia sono tutte qui, nel coraggio di guardare all’oggi senza nostalgie, senza falsi ottimismi ma neanche con il peso di un pessimismo immobilizzante. E con uno sguardo pieno di pietas e laica spiritualità. Ogni tempo ha le sue tempeste, sembrano suggerire queste liriche, e non serve a nulla pensare che tutto sia inutile, innalzando canti fatti di disperazione o di affossamento nel proprio ombelico: “Non buttarsi via ma farsi coraggio/ leggere nello sguardo dei bambini/ nel lento andirivieni delle nuvole/ nei riflessi della luce sull’acqua/ che tutto ricorda/ e con calma fluisce nei giorni futuri”.
Poesia come speranza, quella di questa antologia, ma speranza critica, in grado di non dimenticare vittime senza colpa, bambini, madri, che vengono spesso da luoghi in cui mangiare è un lusso, non una forma di consumo.