“Perfetti sconosciuti”

Paolo Genovese dà vita a una commedia intelligente e mai volgare

Non raggiungerà certo il fenomeno di Checco Zalone e del suo “Quo vado”, ma “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese sta ottenendo un buon successo che non accenna a fermarsi, nonostante siano varie settimane che la commedia è uscita nelle nostre sale e nel frattempo siano usciti anche tanti altri film. La pellicola di Genovesi, invece, sembra crescere lentamente sempre un po’ di più, rimanendo in vetta al box office, e ottenendo sempre ottime medie di spettatori per sala. Il merito è della qualità del film: un’opera ben scritta, prima di tutto, ben diretta e recitata, poi. Nonché, un’opera che fotografa un nervo scoperto della nostra realtà: la fragilità delle relazioni umane, d’amore ma anche d’amicizia, in un mondo in cui la presenza invasiva delle tecnologie rende tutto più fluido, instabile, relativo.
Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Così scriveva il Grande Gabriel Garcia Marquez. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle sim dei nostri telefonini. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare? Eva e Rocco sono una coppia che invita a cena a casa loro gli amici di sempre: Cosimo e Bianca, Lele e Carlotta, e Peppe. I padroni di casa sono ormai da tempo in crisi, situazione a cui contribuisce anche il rapporto con la figlia adolescente, la seconda coppia è invece formata da novelli sposi, i terzi hanno anche loro i propri problemi mentre l’ultimo, dopo il divorzio, non riesce a trovare un lavoro e una compagna stabile.
Durante la cena, Eva propone a tutti di mettere sul tavolo il proprio cellulare e di rivelare ai presenti il contenuto di tutte le comunicazioni che riceveranno nel corso della serata; anche se con qualche tentennamento tutti accettano, ma quello che doveva essere un gioco si trasforma ben presto nell’occasione per rivelare tutti i segreti dei commensali. Quello che all’inizio sembra un passatempo innocente diventerà, man mano, un gioco al massacro e si scoprirà che non sempre conosciamo le persone così bene come pensiamo. La cena si articola tra momenti goliardici e altri di forte contrasto, ma alla fine tutto ciò che è avvenuto risulta essere una possibilità: infatti ognuno dei componenti del gruppo ha rifiutato il gioco proposto da Eva e a serata conclusa, ognuno se ne è andato tenendosi ben stretti i propri segreti.
Genovese dopo “Immaturi” e “Tutta colpa di Freud” dà vita ad un’altra commedia intelligente e mai volgare, che si svolge tutta in una serata all’interno di un appartamento ma non lascia trapelare nessuna “claustrofobia” né incorre in alcun momento di noia. Merito di una sceneggiatura perfettamente orchestrata e di personaggi ben raccontati, che gli attori incarnano alla perfezione. Quello che spesso difetta alle nostre commedie contemporanee rispetto a quelle americana, qui finalmente non manca: dialoghi credibili, di spessore, divertenti, e protagonisti che sanno dargli la giusta voce. Ne viene fuori il ritratto di una società in cui i rapporti fra le persone sono sempre più complicati e sfuggenti, anche per colpa, come abbiamo detto, delle nuove tecnologie. Che certo ci permettono cose prima impossibili ma che, al tempo stesso, sembrano rinchiuderci in un guscio di solitudine e fragilità difficili da superare. Come se la tecnologia, pensata per abbattere i muri, per ora sembra solo crearne.

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