Pasolini e l’irreale Qualcosa

A quarant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975) è giusto e forse doveroso, ricordare l’eredità di quest’intellettuale. Qualcuno lo farà parlando della sua morte misteriosa oppure del ruolo controverso che ha svolto nella cultura italiana; qualcuno rivaluterà i suoi film e qualcun altro reinterpreterà i suoi romanzi. A noi basta ripescare alcuni dei suoi versi e apprezzare i frutti che possiamo ancora cogliere dalle sue (dimenticate?) poesie.

“L’età è la nostra, solo più prossima alla fine,/ed è l’inizio della Nuova Preistoria”. Di chi è quell’età? Non è, in fondo, anche la nostra età contemporanea? Se possiamo anche solo porci la domanda è perché la scrittura del poeta friulano, così politica e legata alla storia del suo tempo, non perde mai il contatto con qualcosa di più profondo. Dare a categorie temporali un significato anche assoluto, questo è il metodo usato da Pasolini, come ad esempio in quest’altra coppia di versi: “Ah, sacro Novecento, regione dell’anima/in cui l’Apocalisse è un vecchio evento!”

Il carattere profetico della sua poesia era poi utilizzato come strumento di analisi concetti altrimenti difficili da trattare. “La Rivoluzione non è che un sentimento”. Un fenomeno complesso e sempre diverso come quello di rivoluzione viene così a definirsi perfettamente in una sola malinconica negazione. Oppure la morte, che non sta “nel non poter comunicare/ma nel non poter più essere compresi”, altra definizione precisa e illuminante.

Ovviamente resta un mondo che sfugge anche alla comprensione della poesia. Ed è essa stessa a suggerirci questa realtà. Sia che si tratti di gridare “Ah, Disperazione che non conosci codici!”, perché nessun linguaggio la esprime veramente. Sia che si riesca in qualche modo a percepire “l’irreale Qualcosa/che faceva eterna quella sera”. Qualcosa d’irreale che non possiamo dimenticare.