«Quando si parla di paesaggio, mi pare che la domanda da porsi sia: “qual è lo spazio che occupa l’uomo al suo interno?”» È l’argomento posto il 15 aprile dall’assessore all’urbanistica Giovanni Ludovisi all’incontro su tema “Gradi di Paesaggio”, compreso nel ciclo “Percezione consapevole di ambienti e spazi significativi”, una serie di appuntamenti gratuiti aperti a tutti organizzati dalla Delegazione Fai (Fondo ambiente italiano) di Rieti e dal settimanale «Frontiera» con il patrocinio del Comune di Rieti ed il contributo della Fondazione Varrone all’Auditorium dei Poveri di via Garibaldi, in collaborazione con il Cai Sezione di Rieti, l’Associazione culturale Animaeacqua, l’Associazione culturale Domenico Petrini, il Circolo fotografico Fausto Porfili e la Confraternita degli Artisti.
Partendo dai quadri presentati dall’architetto Piero D’Orazi per introdurre il discorso, l’assessore ha colto lo spunto della “prospettiva” quale strumento usato dall’uomo per rapportarsi allo spazio ed ha aggiunto al dibattito una serie di domande: «Qual è il punto ‘zero, zero, zero’ abitato dall’uomo? E in che modo l’uomo lo va ad interpretare? Cos’è oggi che ci permette di percepire e capire lo spazio, di programmarlo, di capirne il passato e di progettare il futuro?»
«Capire e percepire il paesaggio – ha sottolineato Ludovisi – vuol dire avere una prospettiva: una prospettiva di crescita, una prospettiva politica, una possibilità di costruzione. Ma oggi esiste ancora quel luogo che l’uomo riesce ad abitare?»
Ecco «la domanda delle domande». E dare una risposta nostro tempo vuol dire «confrontarsi con la città diffusa. La contemporaneità – ha affermato l’assessore – esclude la possibilità di conoscenza dello spazio nella sua interezza». Esclude cioè «la possibilità di abitare il “punto zero”» ovvero di avere una visione compiuta, di disporre del «punto di vista perfetto, di una prospettiva storica e mentale sicura». Ad un tratto si è come fatta avanti una consapevolezza: ogni “prospettiva” è «una astrazione, una costruzione mentale, una approssimazione».
«La città diffusa» allora, secondo Ludovisi, arriva in conseguenza di questa condizione: «è l’immagine di uno spazio esploso, talmente dilatato da non essere più abitabile secondo le categorie storiche che hanno fatto la nostra capacità di interpretare e codificare. Le città contemporanee – al contrario dei centri storici – sono prive di punti di riferimento, di identità, di possibilità di comprensione».
In questo senso «lo spaesamento» risulta essere l’autentica dimensione della contemporaneità, nonostante risultiamo paradossalmente integrati in questo ambiente popolato anche di «dipendenze dai gadget elettronici, dai telefoni, dai gps».
Immersi come siamo nella città diffusa, di fronte ad un paesaggio che è sempre più “di risulta”, che si presenta esclusivamente come uno scarto, come spazio vuoto tra una strada e l’altra, secondo Ludovisi ci troviamo innanzi ad un interrogativo irrisolto: «Qual è la possibilità reale di trovare un luogo, una dimensione in cui porsi per poter riabiatare lo spazio contemporaneo?» Una domanda – avverte l’assessore – cui non si può rispondere senza considerare che il nostro paesaggio non è più quello costruito sul passaggio dalla campagna alla città, ma è estremamente più complesso.