Pianeta da curare

Ortofrutta da curare

Il settore rappresenta ancora una grande ricchezza, ma subisce periodicamente crisi di mercato che devono essere affrontate meglio.

L’ortofrutta d’Italia è sempre la migliore, ma soffre di una crisi che, a seconda del prodotto e del momento, esplode con prezzi troppo bassi per ripagare le spese e soprattutto una forte incertezza sul futuro. Una condizione della quale sono consapevoli tutti, al di là degli schieramenti politici. E c’è più di una ragione.
L’ortofrutta italiana vale miliardi e miliardi di euro, decine di migliaia di posti di lavoro, il mantenimento di un ambiente equilibrato oltre che di una ricchezza alimentare che tutto il mondo ci invidia. Eppure non basta. Alla base delle difficoltà ci sono di fatto non solo la concorrenza non sempre leale, ma anche un radicale cambio delle abitudini di consumo e di acquisto; con una ormai netta prevalenza dei prodotti trasformati o semilavorati rispetto a quelli sfusi e freschi. Una condizione che trova riscontri in ogni rilevazione statistica. Ismea, proprio pochi giorni fa, ha per esempio fatto rilevare che i consumi alimentari nel primo semestre del 2018 sono leggermente cresciuti, ma che all’interno di questi a perdere quote di mercato sono stati i prodotti sfusi, categoria nella quale proprio l’ortofrutta ha ancora una forte presenza. Mentre per il secondo anno consecutivo, cresce il consumo (+5,2% a volume e 4,5% a valore) di prodotti ortofrutticoli della IV gamma (cioè quelli che una volta raccolti sono stati lavorati per dare loro condizioni di consumo più facile e sicure), entrati stabilmente nelle abitudini di acquisto di quasi 20 milioni di consumatori. Oltre a tutto questo c’è poi l’altalenare dell’andamento climatico che comunque ancora oggi può azzerare interi raccolti in poche ore.
Servono quindi investimenti in nuove tecnologie, maggiore coordinamento, più ricerca, regole certe e chiare.
La consapevolezza della fragilità del settore ha comunque condotto con tutte le lentezze tipiche del Paese -, alla creazione di un tavolo dellortofrutta riunito dal ministero per le Politiche Agricole e attorno al quale si sono seduti pressoché tutti i rappresentanti della lunga filiera ortofrutticola italiana. Un passo certamente apprezzabile, anche se come si è detto, probabilmente troppo lento: la prima riunione del Tavolo si è svolta lo scorso dicembre con il precedente Governo, la seconda si è svolta qualche giorno fa con un altro Governo. Ma di cosa si è discusso? Dai resoconti sostanzialmente di tre cose: l’abbattimento delle barriere fitosanitarie, i controlli delle merce importata, l’introduzione di un catasto delle produzioni. Adesso toccherà all’esecutivo fare una sintesi di quanto emerso, mettere a punto una serie di proposte e riconvocare tutti entro due mesi.
Tempi delle istituzioni e della concertazione, verrebbe da dire, che forse non coincidono sempre con quelli della produzione e soprattutto del mercato. In ogni caso le valutazioni emerse dai rappresentanti della filiera sono state per ora positive. Rimangono però i dati di fatto. Il sistema delle cooperazione agricola, per esempio, ha fatto rilevare che per ogni ettaro di frutteto perduto, vengono a mancare nella filiera circa 400-500 unità lavorative, 100 volte di più delle risorse occupate per la coltivazione di un ettaro di seminativi. Ed è forse questo accanto a quello ambientale -, l’aspetto più importante del settore che spesso sfugge ai più. L’ortofrutta (e più in generale l’agricoltura) rappresentano non solo bontà enogastronomiche ma anche occupazione per centinaia di migliaia di persone. Oltre che, come hanno fatto rilevare i coltivatori diretti, la principale motivazione di spesa delle famiglie dopo l’abitazione con un importo complessivo di 244 miliardi.
Una ricchezza da molti punti di vista, che va conservata e fatta crescere. Magari con attenzioni e premure più assidue rispetto ai tempi istituzionali a cui purtroppo siamo abituati.