Opzione zero

Ad un giornalista italiano che gli chiedeva lumi sulla nostra crisi economica, il celebre americano John Kenneth Galbraith rispose qualche anno fa: “Io penso alla sua patria e vedo: la bellezza, la cultura, le vestigia antiche come in nessun altro luogo del mondo. Se siete in crisi, siete colpevoli… perché molto più del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà decisivo per indicare il progresso della società”.

Non c’è proprio bisogno di recuperare una citazione datata per renderci conto che la bellezza rappresenta un potente motore di sviluppo e di competitività. Pensiamo semplicemente ai nostri meravigliosi siti storici, archeologici e all’incuranza in cui sono lasciati per lanciare un allarme che non può continuare a suonare a vuoto. Pompei, che tutto il mondo ci invidia, incassa solo 20 milioni di euro in un intero anno di attività, contro i 23 milioni di euro in una settimana degli Internazionali di tennis di Roma.

Qualcosa non va, ovvio e non stiamo poi a lamentarci. Se l’Italia è affetta dal virus dell’Opzione zero, per riportare il titolo dell’ultimo libro di Francesco Delzio, ovvero l’incapacità di decidere e di assumersi qualche responsabilità, la gestione del nostro patrimonio culturale è uno dei terreni in cui questa sorta di malattia si è manifestata in modo violento e nemmeno tanto inaspettato. Lo scandalo della devastazione della Barcaccia da parte delle orde ubriache di tifosi olandesi è il manifesto di questo fenomeno. Qualche giorno fa due ragazze americane hanno inciso le loro iniziali sul muro del Colosseo per un selfie da incorniciare.

L’ebbrezza di lasciare un segno, il gusto della sfida. Un po’ la sindrome di Stendhal al contrario, dove l’estasi al cospetto dei capolavori scuote e provoca l’anima nera, l’ignoranza becera del vandalismo. La lista è lunga. Tra i casi più clamorosi il “nerd” dei sassi che prima rovinò la fontana del Moro a piazza Navona e dopo tre ore attentò alla Fontana di Trevi, quest’ultima tinta poi anche di rosso dal post futurista Cecchini, mentre intanto piovevano a cascata 500mila palline sulla scalinata di Trinità dei Monti. Follia goliardica, un feticismo estremo verso l’antichità che sconfina nel disprezzo.

Scatta una fiera indignazione, ma come trattiamo seriamente nella quotidianità questo museo en plein air che si chiama Italia? Come dire che abbiamo il nemico in casa, nel senso di essere un po’ barbari anche noi, indifferenti alla bellezza e poco sensibili alla cura ed alla pulizia, immobili di fronte ad un tentativo di sfascio. Per questo la scelta dell’opzione zero è qualcosa di perdente: decidere di non decidere, per non rischiare, per non avere problemi, per abbattere i costi del presente e segnare purtroppo il futuro.

Due immagini ricorrono in questo saggio del manager Delzio per fotografare i mali odierni meglio di qualsiasi rapporto o indagine statistica. Si parla di sindrome da Palio di Siena, chiamando in causa la famosa disfida che vede fronteggiarsi le contrade della città toscana. Non è una sana competizione volta a spingere al trionfo il migliore, ma una lotta tra concorrenti dove l’obiettivo è danneggiare il proprio avversario. In più compare anche la storia dei “bischeri”, termine usato di frequente come insulto.

La ricca famiglia dei Bischeri alla fine del 1300 si oppose alla costruzione del Duomo di Firenze perché convinti che l’opera avrebbe deturpato la città e interessati a monetizzare l’esproprio delle proprie terre, necessario per la costruzione del monumento. Finì malissimo, come del resto rischia di finire nello stesso modo questo inestimabile patrimonio di opere d’arte e di capolavori archeologici. La ricchezza di ieri, la condanna di oggi. Ma con un pizzico di lungimiranza potrebbe diventare la salvezza di domani.