Ogni marcia su Parigi una curva della Storia

La “pace” che dura in Europa da 70 anni è frutto dell’orrore e dell’inferno di due guerre mondiali suicide. Ora il terrorismo ha offerto all’Europa un’opportunità davvero storica, convocando a Parigi i capi delle nazioni. Chissà che non diventi l’occasione di un nuovo inizio.

Quando si “marcia su Parigi” – come i capi degli Stati europei l’11 gennaio – si entra, nel bene o nel male, nella storia del mondo. Anche se le “conquiste” della Ville Lumière sembrano segnate, tutte, dalla contraddizione e dalle ambiguità. Accadde a Charles de Gaulle, il 26 agosto 1944, quando poté camminare dall’Arco di Trionfo a Notre Dame celebrando la liberazione della città dai nazisti. Quella marcia restituiva alla Francia l’illusione di aver “vinto la guerra” al fianco degli angloamericani. Ma de Gaulle sapeva bene di dover rimettere insieme i frantumi di un impero e di un Paese profondamente diviso, piagato dal collaborazionismo e dalla rassegnazione di milioni di francesi che avevano subìto o accettato la finta autonomia del governo di Vichy. Quella camminata lungo gli Champs Elysées rappresentava comunque la fine di un incubo, i 4 lunghissimi anni in cui i parigini avevano taciuto sotto i nazisti, ostaggi dell’invidia di Hitler che avrebbe voluto, per il suo Reich millenario, una Berlino che facesse dimenticare la bellezza e il fascino della “capitale del mondo”.

Napoleone III fece realizzare dal barone Haussmann, negli anni del Secondo Impero, l’imponente cerchia dei boulevard per fare di Parigi una città moderna, cancellando il labirinto del vecchio centro medievale (il reticolo di stradette intorno alle Halles, quella “corte dei miracoli” che Victor Hugo racconta in “Notre Dame de Paris”). Era, quella di Haussmann e di Napoleone III, un’operazione urbanistica, immobiliare ma anche militare: sui grandi viali che circondano il centro le truppe e i carri si possono muovere facilmente, garantendo un controllo più agevole. E infatti a questo scopo servirono, proprio dopo la caduta dell’Impero, per circoscrivere e reprimere l’insurrezione dei Comunardi nel 1871. Ancora più indietro nel tempo, Enrico IV il grande si prende la città e la corona di Francia convertendosi al cattolicesimo e inaugurando così la stagione dei Borbone – dinastia interrotta dalla ghigliottina del 1793.
Ciascuna delle principali “marce su Parigi” corrisponde a una svolta della storia che ha riguardato non solo la città e la Francia ma sovente l’Europa e il mondo intero. Perché ogni volta era in gioco non solo una vittoria militare o dinastica ma il confronto su sistemi di valori, il senso che si intende dare al vivere sociale di un popolo. Anche in questo senso è particolarmente drammatica l’esperienza della Comune del 1871, quando lo “Stato” ottiene una vittoria militare sui “cittadini” insorti, che erano stati capaci di sognare e organizzare, dopo la disfatta di Sedan contro la Prussia, una diversa “République”. E forse in questa direzione andrebbe ripensata l’esperienza del Maggio ’68, quando la capitale assediò se stessa, mettendo in discussione “tutto”: “Siate realisti, chiedete l’impossibile” era uno degli slogan…

Ma oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, proprio quei cortei e quelle barricate obbligano a riflettere su una modernità che ha cancellato certe ipocrisie sostituendole con altre; ha ridicolizzato i poteri ma non è in grado di controllarli – tanto che il mondo è dominato non dai collettivi di base ma dalla rapacità dei finanzieri… Scriveva Goffredo Parise sul ’68: “Ricordo che andai a Parigi e mi resi conto che dietro quel marasma, apparentemente rivoluzionario, c’era il vuoto. Però molti ne ebbero un’impressione grandiosa. Tanti intellettuali, anche comunisti, si confusero e si persero dietro una specie di sogno romantico giovanile”.

Oggi sulle strade di Parigi tornano a scendere non tanto gli studenti e gli operai ma i capi degli Stati. Perché la posta in gioco riguarda davvero tutti, per un motivo in fondo semplice: la libertà, per come l’Occidente l’ha maturata, costruita e conquistata, è davvero indivisibile: non esiste la nostra libertà se non comprende anche gli insulti, le irriverenze, persino il “nulla” di Charlie Hebdo; e, insieme, la possibilità di criticare questo nulla, e l’obbligo di difenderne il diritto a esistere.La “pace” che dura in Europa da 70 anni è frutto dell’orrore e dell’inferno di due guerre mondiali suicide. Ora il terrorismo ha offerto all’Europa un’opportunità davvero storica, convocando a Parigi i capi delle nazioni: chissà che la marcia dell’11 gennaio non diventi l’occasione di un nuovo inizio.