Italia

Occupazione femminile, il Pnrr potrebbe ridurre il divario di genere

In Italia solo il 22% delle aziende è "rosa". Nel 2021 più donne al lavoro: +32% rispetto al 2019. Confindustria Dispositivi Medici: cresce del 39% la presenza nei vertici

Il tasso di occupazione femminile in Italia è intorno al 50%, con un divario di ben 12 punti rispetto a quello europeo del 62%. Nel nostro Paese, la percentuale di donne nei livelli esecutivi è solo del 17%. Il World Economic Forum ci classifica solo al 63esimo posto su 153 nella classifica del gender gap. Secondo il Gender Equality Index dello Eige-European Institute for Gender Equality, l’Italia si colloca attualmente al 14esimo posto, con un punteggio di 63,5 punti su 100, inferiore di 4,4 punti alla media UE82. «Questi dati allarmanti possono migliorare solo se le risorse del Pnrr saranno indirizzate in modo diretto e incisivo a chiudere il gender gap – spiega Darya Majidi, presidente e fondatrice dell’Associazione Donne 4.0 -. Il Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta quindi un’occasione unica per accelerare la chiusura del divario di genere in Italia. Con il nostro Osservatorio vogliamo misurare con indicatori oggettivi e quantitativi se e come le ingenti risorse disponibili impatteranno concretamente sul raggiungimento della parità di genere. A oggi abbiamo analizzato nel dettaglio i primi 51 obiettivi realizzati dal Pnrr nel 2021, principalmente di carattere qualitativo, insieme ai primi bandi di gara. Emerge da subito una situazione in chiaroscuro, con punti di forza e misure connesse direttamente alla valorizzazione delle donne (vedi il fondo Impresa donna, la certificazione obbligatoria di genere, gli appalti con criteri di genere, quote di 40% nelle ricercatrici), ma anche criticità che desideriamo segnalare perché auspichiamo si possano introdurre dei correttivi nel prosieguo del Piano». L’investimento 1.2 dedicato alla Creazione di imprese femminili – 38,5 miliardi di euro – e previsto dal Pnrr si prefigge di sostenere la realizzazione di progetti aziendali innovativi per imprese già costituite e operanti a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile, quali ad esempio la digitalizzazione delle linee di produzione, il passaggio all’energia verde, eccetera.

In Italia solo il 22% delle imprese è “rosa”

A partire dal proprio ecosistema di dati, Crif ha condotto un’analisi mirata per comprendere lo stato dell’arte dell’imprenditoria femminile in Italia e quali sono le potenzialità messe a disposizione dal Pnrr. Nello specifico, lo studio ha preso in considerazione le ditte individuali con titolare donna e le società in cui la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è costituita da donne o, ancora, la maggioranza delle quote di capitale è detenuta da donne. In Italia a febbraio 2022 le imprese femminili sono risultate essere 1.381.987 (erano 1.312.451 alla fine del 2015), ma rappresentano solo il 22% delle imprese italiane. Il 76% di queste ha una forma giuridica di ditta individuale, a fronte di un 15% di società di capitale, un 8% di società di persone e il restante 1% di associazioni iscritte alle Camere di commercio, enti, fondazioni e società anonime. Analizzando, invece, l’incidenza delle imprese femminili rispetto al totale delle imprese, le forme giuridiche con la quota più alta sono società di persone (27%) e ditte individuali (26%). Andando ad analizzare l’incidenza di imprese femminili nei vari settori economici, lo studio di Crif presenta una situazione estremamente variegata. Nel dettaglio, il 40% delle imprese che operano nel settore dei lavori domestici è femminile, così come il 38% di quelle attive nella sanità, mentre quasi un’impresa su tre è femminile nei servizi di alloggio e ristorazione e di istruzione. L’analisi territoriale mostra una distribuzione sufficientemente equilibrata tra tutte le regioni del Paese. Quelle con la maggiore concentrazione di imprese femminili sono Basilicata, Molise, Umbria, con una incidenza del 25% sul totale, seguite da Abruzzo, Calabria, Liguria, Sicilia e Valle d’Aosta con il 24%. Lombardia e Trentino Alto Adige registrano invece solo il 19% di imprese “rosa”, pur essendo regioni a elevata imprenditorialità. Discorso sostanzialmente analogo per il Veneto, con il 20% di imprese femminili.

Nel 2021 riparte il lavoro femminile: +32% rispetto al 2019

L’Apl-Agenzia per il lavoro Maw vede una ripartenza dell’occupazione femminile presso le proprie aziende clienti. Complice l’apertura di nuove filiali sul territorio nazionale, Maw ha registrato nel 2021 un incremento del 32% rispetto al 2019 di donne inserite nel mercato del lavoro. L’Apl ha infatti somministrato oltre 11.200 donne nel 2021 rispetto alle 8.500 del 2019. Anche il numero dei contratti a tempo determinato e indeterminato è in crescita: passano infatti da 14.800 del 2019 a 18.300 del 2021, con un tasso di crescita del 24%. Sono positivi anche i numeri dei contratti full time e part time: il 2021 registra un incremento rispettivamente del 41% e del 5% rispetto al 2019. Le ore totali lavorate sono passate da cinque milioni nel 2019 a oltre sette milioni nel 2021: sono il 40% in più. La regione che registra un incremento maggiore del lavoro per le donne è la Lombardia, con oltre 4.200 donne in somministrazione nel 2021: un dato determinato anche dalla maggiore presenza di aziende clienti e di filiali Maw sul territorio. Sono circa le metà delle assunzioni complessive avvenute nella regione nello stesso anno. Il Veneto, seppur in seconda posizione, ne somministra 1.600, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con 1.100 somministrazioni (in crescita rispettivamente del 1% e del 12%).

Confindustria Dispositivi Medici: cresce del 39% la presenza di donne ai vertici

È cresciuta del 39% la presenza di donne in posizioni apicali negli ultimi due anni nelle aziende del settore dei dispositivi medici: Nella fascia di età tra i 30 e i 39 anni le donne ricoprono il 34% delle posizioni apicali, percentuale che raggiunge il 46% per le fasce di età compresa tra i 20 30 anni. A spingere la bilancia sociale verso l’uguaglianza, dunque, sono le nuove generazioni. Sono questi gli ultimi dati emersi dall’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici sulle imprese del settore, che contano 112.534 occupati nelle 4.546 aziende presenti in Italia. I dati pongono l’accento sulla rappresentazione femminile, che conta il 46% di donne, e che indicano che entro breve si raggiungerà nel comparto la parità di genere. Il settore dei dispositivi medici è caratterizzato da un’occupazione altamente qualificata: il 48,6% dei dipendenti sono laureati, il 37,6% diplomati. La concentrazione degli occupati si conferma forte in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, dove si concentra il 65% dei 112.534 lavoratori del settore in Italia. Il Sud e le isole, sebbene ospitino poche aziende di grandi dimensioni, si confermano ambiente fertile per la formazione e crescita di start up innovative. Al Centro, invece, la presenza di imprese si concentra per quasi la totalità in due regioni: Lazio e Toscana.

Come valorizzare il talento femminile in azienda

L’uguaglianza di genere sul posto di lavoro continua a fare notizia. Oggi abbiamo senz’altro una panoramica più chiara della questione e siamo di fronte a un numero sempre più alto di iniziative volte a raggiungere il giusto equilibrio. Ciò nonostante, il problema è tutt’altro che risolto. Molti sono, infatti, gli ostacoli che ancora si frappongono tra le donne e il giusto riconoscimento del loro talento. CoachHub individua i più diffusi e fornisce alcuni suggerimenti utili a superarli e a promuovere una sempre maggiore affermazione della leadership femminile.

I principali ostacoli alla leadership femminile:

1. Questione di percezione: il modo in cui le donne vengono viste. Contrariamente a quanto accade agli uomini, le donne in azienda ancora oggi devono dare prova di sé prima di essere prese sul serio. Siamo tutti abituati a vedere uomini ai vertici di grandi aziende; non si può dire lo stesso per le donne, che molto spesso sentono la necessità di trovare la propria voce e il proprio stile unico per ricoprire un ruolo di leadership o di dover dimostrare costantemente le proprie competenze. Le capacità – ma soprattutto la motivazione – per ricoprire ruoli da leader sono frutto di un processo di sviluppo e dell’esperienza sul campo. Tuttavia, all’inizio della loro carriera, le donne hanno di rado le stesse opportunità riconosciute agli uomini e questo significa ritrovarsi nella condizione di dover continuamente dimostrare la propria legittimità e professionalità.
2. Autocensura. La maggioranza delle donne è spesso cresciuta in contesti caratterizzati da alcuni stereotipi sulle differenze di genere. Si pensi al famoso indovinello in cui un ragazzo ha un incidente in macchina con suo padre e, quando arriva in ospedale, il chirurgo (donna) afferma di non poterlo operare. Tanti tra quelli sottoposti a questo test hanno impiegato diversi secondi (o non hanno neppure immaginato) che il chirurgo potesse essere la madre. Questi pregiudizi, che corrono invisibili nella nostra società, influenzano la costruzione dell’autostima e della fiducia in sé. Reiterando schemi tipici dell’ambiente in cui sono cresciute, molte donne credono poco in se stesse e hanno una tendenza all’auto-sabotaggio, difficoltà a prendere l’iniziativa o a imporre le proprie convinzioni. Basti pensare che spesso una donna in possesso dell’80% delle competenze necessarie per una posizione lavorativa si dirà di non essere adeguata, mentre un uomo che possiede solo il 60% delle competenze richieste tende a pensare di essere adatto al lavoro.
3. Work-life balance. La necessità di destreggiarsi tra la vita lavorativa e quella domestica spesso diventa più evidente quando le donne hanno figli. La vita familiare può, infatti, impedire di essere reattive al 100%, garantendo disponibilità in orari al di fuori di quelli lavorativi. Mettere su famiglia per una donna significa dover riorganizzare completamente la propria vita, inclusa quella lavorativa: una transizione tutt’altro che semplice. Secondo quanto rilevato da McKinsey e LeanIn.org nel report Women in the Workplace, i casi di stress e burn-out sono, inoltre, aumentati notevolmente durante la pandemia per le donne (42%), in misura maggiore rispetto agli uomini (35%).

Come valorizzare il talento femminile secondo CoachHub

1. Sensibilizzazione sugli stereotipi di genere. L’obiettivo è essere consapevoli dei propri pregiudizi e stereotipi (anche inconsci) e assicurarsi che questi non influenzino le nostre decisioni. Aumentare la consapevolezza ci aiuta ad adottare quello che Kahneman chiama “pensiero lento”, soprattutto quando dobbiamo prendere decisioni sulle persone (chi promuovere? chi assumere? a chi assegnare quel progetto strategico?). Diversamente da ciò che molti pensano, una spiccata capacità decisionale o la propensione a spostarsi per lavoro anche all’estero non sono tratti tipicamente maschili, così come il desiderio di conciliare carriera e genitorialità non sono caratteristiche prettamente femminili.

2. Cultura del coaching. Le aziende devono introdurre programmi che promuovano lo sviluppo e l’affermazione del talento femminile. Un’offerta di percorsi di formazione, ma soprattutto di coaching, è essenziale per riuscire in quest’obiettivo. In particolare, con il coaching, è la persona a orientare il suo sviluppo. Costruire la propria carriera, effettuare una valutazione e agire di conseguenza diventano così responsabilità individuali. E, oltre a sviluppare i punti di forza o individuare eventuali aree di miglioramento, il coaching offre – indipendentemente dal genere – i mezzi più adatti per lavorare a fondo su di sé, aumentare l’autostima e liberarsi da limiti mentali autoimposti per raggiungere i propri obiettivi e prepararsi al meglio per assumersi maggiori responsabilità. Allo stesso tempo è fondamentale agire, per adottare un approccio sistemico, su una managerialità in grado di fornire spazio al talento unico della persona, premiando i leader che accolgono e valorizzano la genitorialità (non solo la maternità), sviluppano il talento e le competenze invece che focalizzarsi su stereotipi di genere.

3. Revisione dei processi. Le organizzazioni hanno, infine, bisogno di supportare la creazione di un contesto inclusivo, che valorizzi l’unicità del singolo, nella ricchezza della sua diversità. Diventa fondamentale, per tale motivo, ridisegnare i processi (ad esempio, la selezione del personale, i percorsi di carriera, il sistema di performance), le strutture, i sistemi che supportano la crescita della persona e la generazione di un contesto a misura di ogni singola persona.

da avvenire.it