A nudo il “pirata” Kimble

Dossier dell’Fbi svela i suoi affari milionari. Altro che partigiano della Rete libera

A quasi due anni dall’avvio della vicenda, scoppiata dopo una maxi retata che aveva portato alla chiusura di uno tra i più diffusi siti web di file hosting ed all’arresto del fondatore ed alcuni manager, il Dipartimento di Giustizia Usa ha pubblicato tutti i numeri del business di Megaupload. Un giro affari milionario che, secondo il DoJ, fruttava all’ormai celebre Kim Dotcom diversi milioni di euro l’anno.

L’affare Megaupload scoppia il 19 gennaio 2012, quando l’Fbi fa chiudere i battenti a Megaupload, sito di condivisione dei file con almeno 45 milioni di visitatori l’anno. Un’operazione senza precedenti per un sito internet, 20 mandati di perquisizione in 9 differenti Paesi, il sequestro di oltre 50 milioni di dollari e numerosi arresti compiuti con un blitz degno dei migliori film di azione Usa: due elicotteri di copertura che riprendono dall’alto la villa del boss del file sharing e squadre di agenti federali che, armi in pugno, assaltano la lussuosa residenza. Insieme a Kim Schimtz (il fondatore) finiscono in manette altri 7 manager accusati di aver guadagnato oltre 175 milioni di dollari attraverso l’attività illecita e di aver causato un danno ai detentori dei diritti d’autore non inferiore ai 500 milioni di dollari. Il Federal Bureau of Investigation sequestra, inoltre, 18 nomi di dominio e 525 server installati in Virginia, che si aggiungono ai 630 ospitati dalla società olandese LeaseWeb ed a quelli forniti dall’americana Cogent in Francia. Un vero e proprio blitz internazionale, messo in piedi dagli investigatori statunitensi per bloccare la “Mega Conspiracy”.

Da allora tra l’Fbi e Mr. Kimble è battaglia legale all’ultimo colpo. Secondo Ira Rothken, avvocato molto noto per aver difeso i gestori di numerose piattaforme accusate di violazione del copyright e che ha assunto la difesa di Megaupload, le forze federali Usa hanno calcato troppo la mano, utilizzando una procedura troppo “aggressiva” ed ingiustificata. La strategia difensiva paga e Schimtz, noto in Rete anche con gli alias Kimble o Kim Dotcom, nonostante il suo passato non certo immacolato (nel 1996 hackera Deutsche Telekom, pochi anni dopo con una operazione di insider trading su LetsBuyIt.com si assicura 1,2 milioni di dollari di guadagni, e così via attraverso una lunga lista di episodi quanto meno discutibili, che lo vedono protagonista), ottiene il blocco dell’estradizione verso gli States.

Adesso il Department of Justice si prende la sua rivincita e, in un corposo dossier di 191 pagine, svela il vero volto di Kimble. Dietro agli ideali del pirata “romantico” che lotta per una Rete libera, si cela un abile uomo d’affari capace di generare lucrosi profitti con il filesharing. Il rapporto, che chiude le indagini degli investigatori statunitensi, raccoglie tutti gli elementi probatori emersi durante questi due anni, tra i quali anche email e conversazioni Skype tra i protagonisti della vicenda. Ne emerge un business da 25 milioni di dollari al mese da ricavi pubblicitari e 150 milioni di dollari l’anno da sottoscrizioni degli utenti ed un’immagine dei “pirati” molto ridimensionata: “se i detentori di copyright [le major, ndr] sapessero quanto è realmente grande il nostro business – dice il capo dei programmatori al Chief Technology Officer di Megaupload – tenterebbero certamente di fare qualcosa per contrastarlo”.