Nel Mezzogiorno una crisi distruttiva

Tutti gli indici statistici in negativo e in peggioramento rispetto al Nord

La fotografia dell’ultimo rapporto dell’Istat, sul piano generale, è questa: negli ultimi 2 anni solo il 30% delle imprese ha migliorato occupazione e fatturato; la disuguaglianza rimane “consistente”, nonostante le politiche redistributive; la povertà aumenta, tanto che l’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione; l’occupazione femminile migliora, ma solo perché servono più baby sitter e badanti per bilanciare l’inadeguatezza dei servizi sociali; non c’è crescita e questo annulla gli effetti della spending review sul debito pubblico.

Il totale delle forze di lavoro potenziali è di 6,3 milioni: ai disoccupati (poco più di tre milioni), si aggiungono 3.205.000 inattivi. Cresce la disoccupazione di lunga durata: nel 2008 era al 45,1%, nel 2013 raggiunge il 56,4% dei senza lavoro. E’ sempre più difficile tornare al lavoro dalle file dei disoccupati: se nel periodo pre-crisi, tra il 2007 e il 2008, lo hanno fatto 33 disoccupati su 100 nell’arco di un anno, tra il 2012 e il 2013 si scende a 24 su 100.

Quest’anno, si prevede un aumento del prodotto interno lordo pari allo 0,6% in termini reali, dell’1% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016. Rispetto ai consumi, spendono solo i pensionati. Nel 2013 si è toccato un nuovo minimo storico per le nascite da quasi vent’anni: si stima che siano stati iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1995.

Più di un italiano su 10 (l’11,1%) ha rinunciato alle cure nel 2012 (accertamenti o visite specialistiche non odontoiatriche, interventi chirurgici o acquisto di farmaci), in larga parte a causa della crisi.
Se questo è il quadro problematico generale, drammatico è quello del Sud. Nelle regioni del Sud il tasso di occupazione scende al 42,0% (4,1 punti percentuali in meno rispetto a cinque anni prima) a fronte del 64,2% delle regioni settentrionali (-2,7 punti rispetto al 2008) e del 59,9% di quelle del Centro (-2,8 punti). Il tasso di occupazione maschile di quest’area, già inferiore alla media nazionale (61,1 per cento contro il 70,3 per cento nel 2008), è stato intaccato di ben 2 punti percentuali nel 2009 (contro una perdita di 1,6 punti nella media Italia); in seguito, il ritmo con cui il tasso di occupazione maschile è calato è stato sempre più accentuato nel Mezzogiorno, e nel 2013 ha perso ulteriori 2,5 punti percentuali, attestandosi al 53,7% (-7,4 punti percentuali rispetto al 2008). Il divario è inoltre incrementato rispetto alle altre zone (da 15,1 a 18,1 punti percentuali rispetto al Nord e da 11,9 a 14,4 punti rispetto al Centro).

Una donna su 3 tra 15 e 64 anni è occupata (un livello inferiore a quello del Nord di circa 25 punti percentuali e a quello del Centro di circa 20 punti) arrivando al 30,6 per cento nel 2013 (dal 31,3 per cento del 2008). Per quanto riguarda i Neet, ossia i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione, si passa da un tasso del 29% del 2008 al 35,4% del 2013 (il dato del Nord dello scorso anno era del 19%).

Questi dati dimostrano che negli ultimi anni la crisi si è abbattuta sul Sud in maniera distruttiva, non solo per ragioni strutturali, ma soprattutto perché non vi sono stati interventi che per lo meno la contenessero.

La sfida da compiere è proprio questa: comprendere che l’inversione di rotta, rispetto al recente passato, potrebbe costituire il rilancio immediato dell’intero sistema Paese.