Multinazionali: fatturati giganteschi e contributi fiscali ridotti a briciole. Non solo Apple…

Il commissario europeo alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha contestato all’Irlanda un illecito aiuto di Stato ad una particolare impresa, l’americana Apple. In sostanza una tassazione personalizzata di assoluto favore. Un caso che mette in luce l’assoluta necessità di un’armonizzazione fiscale all’interno dell’Europa per le mega-corporation, perché paghino il giusto contributo in termini fiscali

I fatti: il commissario europeo alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha contestato all’Irlanda un illecito aiuto di Stato ad una particolare impresa, l’americana Apple. In soldoni, l’Irlanda non ha fatto pagare le tasse per anni al colosso informatico statunitense che nell’isola di smeraldo ha sede fiscale. Anzi no: le ha fatte pagare in una misura così ridicola che i contribuenti dell’intera Via Lattea farebbero carte false per avere uguale trattamento fiscale. L’aliquota personalizzata infatti è dello 0,005% annuo, ovviamente dedotti i costi: 50mila euro lordi ogni miliardo di utile…

Il bello, anzi il brutto è che Apple ha creato un meccanismo finanziario tale per cui anche ciò che fattura fuori dall’Irlanda – ad esempio in Italia – riesce quasi integralmente a finire dentro la cuccagna irlandese. Per dire, la Mela versa al Fisco italiano lo 0,42% di quanto fattura nel Belpaese.

E stiamo parlando della più grande multinazionale del mondo, con un valore borsistico che supera i 570 miliardi di dollari, che guadagna ogni anno oltre 50 miliardi, che ne ha in saccoccia come liquidità qualcosa come 231 miliardi, sempre di dollari.

Detta così, sembra una distorsione grande come una casa, e lo è. Salvo il fatto che i trattati europei permettono ai governi completa autonomia nelle politiche fiscali.

L’Italia agevola fiscalmente chi investe nel Mezzogiorno; chi fa nuove assunzioni; chi acquista certi beni o servizi (mobili, ristrutturazioni edilizie, materiali ecologici per la casa…). La Grecia esentava dalle imposte le attività economiche nelle isole; la Gran Bretagna riconosce paradisi fiscali dentro il proprio territorio, dalle isole Cayman a Bermuda. E via dicendo.
La questione con Apple è che lo sconto personalizzato è stato considerato tale da distorcere la concorrenza con altre aziende, peccato capitale per l’Europa unita. Come si fa a competere con una corporation che intasca tutto ciò che guadagna, mentre all’onesto contribuente viene sottratto dal Fisco italiano da un terzo ai due terzi di ciò che guadagna?
Da qui la megamulta comminata all’Irlanda (non ad Apple): spetta a quella nazione rivalersi con la multinazionale americana. E non si sa se lo farà: la Mela e le altre centinaia di aziende soprattutto americane con base nell’isola garantiscono qualcosa come 140mila posti di lavoro per una popolazione inferiore a quella del Veneto. Benzina che ha spinto l’Irlanda fuori dalla crisi economica di questi anni e che anzi le fa decollare il Pil di anno in anno. Infatti gli irlandesi sono furibondi con Bruxelles.

Anche gli europei sono furibondi, ma con gli irlandesi. Il mercato è unico, ma i trattamenti sono differenziati per i “clienti”. La Francia è un Paese stabile, tra le prime economie del mondo, la porta d’ingresso verso mezza Africa, con una burocrazia eccezionale per qualità e tempismo. Ma nessuno investe un euro nel suo territorio, causa imposizione fiscale addirittura peggiore di quella italiana (lì, poi, le tasse le fanno realmente pagare tutte a tutti). Tasse che servono appunto a sostenere uno Stato elefantiaco e un welfare quasi unico nel mondo. Deve cambiare la Francia o deve cambiare il contesto in cui sta la Francia?
Ma al di là di una situazione intra-europea confusa e problematica – una delle tante –,

rimane da affrontare la questione specifica del trattamento fiscale da adottare verso queste mega-corporation che vanno laddove le porta il borsellino.

Apple, Google, Facebook, Alibaba, Amazon, Ryanair… I loro fatturati, assommati, sono giganteschi; il loro contributo fiscale minimo. I singoli Paesi si stanno muovendo, l’Italia ha concluso una serie di accordi che prevedono versamenti meno ridicoli per gli enormi ricavi che fanno nel nostro mercato; Apple ha concordato ad esempio un pagamento di 318 milioni di euro; Google sta entrando nei doveri, e non solo nei diritti, del mercato editoriale tricolore.
L’economia digitale è in forte e continua crescita, tra pochi anni rappresenterà un quarto della torta complessiva. Il Far West dovrebbe essere alla fine, si andrà verso una regolamentazione diversa grazie alla forza che l’Europa ha, se vuole averla: se la Commissione chiude le porte ad un’azienda, questa si preclude il più grande mercato unico del mondo. Nel contempo, l’armonizzazione fiscale dovrà svilupparsi in altri modi. Le tasse vanno riscosse e pagate ovunque da tutti, perché anche l’abbondante “nero” italiano è una bella distorsione occulta del mercato. Infine, vanno portate a livelli accettabili: non è possibile che lo Stato sia, infine, il principale azionista di un’azienda che faccia tutte le cose in regola.