Mons. Pompili: Comunicare l’umano e il non umano

Si è svolto presso la Fraterna Domus di Sacrofano il 35° Convegno Nazionale dei Centri di Aiuto alla Vita. Tra i relatori il vescovo di Rieti Mons. Domenico Pompili, che ha affrontato il tema de “La comunicazione per una cultura dell’accoglienza della vita”

“La comunicazione per una cultura dell’accoglienza della vita” è il tema affrontato il 7 novembre dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, al 35° Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita (Cav), svolto presso la Fraterna Domus di Sacrofano. Un argomento che alla vigilia del Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze è stato affrontato dal vescovo secondo una prospettiva forse spiazzante. Don Domenico ha infatti evitato di indugiare sui i media come banali «strumenti per recapitare messaggi», proponendo piuttosto di indagare su cosa vogliano dire oggi “umano” e “non umano”, confrontandosi con gli scenari aperti dalla tecnica e delle provocazioni del “post-umano”.

Le provocazioni del post-umano

Una «definizione ombrello», ha spiegato il vescovo, per un filone di riflessione «che va preso sul serio e non combattuto a priori come un nemico tout court perché, al di là delle tante posizioni difficilmente accettabili, almeno alcuni aspetti sono condivisibili e allestiscono le condizioni di un dialogo in cui non c’è nulla da perdere, ma solo passi utili per avanzare verso una vita buona insieme, in un mondo plurale».

La comunicazione come sfida culturale

Mons. Pompili è sembrato cioè guardare alla comunicazione come risposta alle «sfide culturali» di oggi, nelle quali «vengono evocate vere e proprie mutazioni antropologiche» ma facendo attenzione a «non compiere un errore assai comune, del quale spesso accusiamo gli altri: chiudere l’ascolto verso ciò che ci pare troppo lontano».
Un atteggiamento che «ci preclude la possibilità di portare un contributo positivo al dialogo, una voce che in tanti casi può fare la differenza, e al contempo ci priva della scomoda ma utile possibilità di lasciarci provocare e mettere in discussione, per purificare e rigenerare la nostra capacità di comunicare la verità in cui crediamo e della quale siamo sempre inadeguati testimoni (quando lo siamo)».

Comunicare per incontrare «l’altro»

Comunicare, allora, per incontrare davvero “l’altro”: «chi oppone resistenza, e dunque un limite, al nostro ‘io’», e che proprio per questo «ci libera dalla prigione di noi stessi, da una autoreferenzialità che diventa chiusura asfittica e coazione a ripetere, da un delirio di onnipotenza che produce violenza distruttiva e autodistruttiva».
Uno slancio necessario perché «insieme all’altro, e grazie all’altro, incontriamo anche la verità di noi stessi: cioè che siamo relazione» e che «la vita fluisce attraverso le relazioni che sappiamo tenere aperte, mentre si spegne dove cerchiamo di trattenerla, dominarla».

Tutto è connesso

«Questa verità relazionale, dove “tutto è connesso”» ha precisato don Domenico guardando alla Laudato Si’ «può essere offerta (proposta e non imposta) al mondo sotto forma di ‘saggezza’ secondo la prospettiva ‘in uscita’ di Papa Francesco» quale «contributo a un dialogo che può e deve restare aperto; e dal quale, forse, abbiamo anche qualcosa da ascoltare».

Differenza e convergenza

E delle «provocazioni del postumano» il vescovo propone di prendere sul serio «la critica alla forma che ha assunto l’umanesimo, come tirannia dell’uomo sul cosmo, concepito di conseguenza come materiale a sua disposizione. Tanto che molti autori sostengono di non essere nemici dell’umano, ma della forma che l’umanesimo storicamente ha assunto, sotto le sembianze di un astratto universalismo che in realtà assolutizza un ideale di dominio».
«Nonostante le molte posizioni non condivisibili (come l’estensione della soggettività agli animali e persino alle macchine)» secondo mons, Pompili «la critica all’eccesso di antropocentrismo dell’umanesimo moderno ha le sue ragioni» e «ci deve far pensare e sollecitare una opportuna autocritica», anche se non è necessario «condividere l’immanentismo materialista dei postumanisti per essere critici verso la deriva ‘tirannica’ dell’umanesimo moderno».
Da questo punto di vista, infatti, la cultura cattolica è sicuramente ben attrezzata e non va abbandonata; si tratta invece di non rinunciare ad una convergenza con altre forme di critica dell’«antropocentrismo tirannico». «Benché su premesse diverse – ha detto il vescovo – si può molto lavorare per umanizzare il nostro tempo concentrando le forze su singoli obiettivi condivisi» come la «critica di molte femministe non credenti alla questione dell’utero in affitto».

Oltre i dualismi

Un altro punto per un possibile dialogo con le culture del “post-umano” potrebbe incardinarsi sulla «giusta insofferenza per i dualismi che nella modernità hanno condizionato la concezione dell’umano (mente e corpo, materia e spirito, natura e cultura)» e, in positivo, sulla «tensione all’autotrascendimento, al non fermarsi al dato di fatto, al superamento dei limiti e a una fratellanza col cosmo rispetto alla quale, pur nella differenza di cornice, non si possono non riconoscere affinità» se è vero, come Papa Francesco illustra bene nella Laudato Si’, che «Gesù viveva una piena armonia con la creazione», distante «dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo».

I pericoli del trans-umanesimo

Ciò detto, mons. Pompili ha però messo in guardia da approcci “transumanisti”, che prefigurano «un completo superamento dell’umano attraverso il suo potenziamento tecnico» tramite impianti artificiali e manipolazioni di vario tipo. Se con un gesto di umiltà «dobbiamo riconoscere di non essere riusciti a impedire la deriva dell’umanesimo verso l’astrazione, il dualismo, l’antropocentrismo tirannico» è altresì necessaria «un’assunzione di responsabilità per porre con fermezza – e anche qui cercando alleanze su punti di contatto, che ci sono – la questione del limite».

Ad esempio evidenziando come indispensabile «un confine tra i due ordini di finalità fondamentali della tecnica oggi, ovvero ‘terapeutico’ , per prevenire, curare, recuperare in tutto o in parte facoltà compromesse o perdute o per rimediare a patologie più o meno gravi; e ‘migliorativo’ per potenziare facoltà naturali o per generare capacità inedite».

Si tratta di ritrovare «un confine tra ‘possibile’ e ‘pensabile’» ha rilevato don Domenico, perché «grazie alla tecnica il repertorio del possibile si è enormemente ampliato, e nello stesso tempo la frontiera tra possibile e pensabile, tra fattibile e accettabile, si è assottigliata fin quasi a sparire». Ma, come afferma un bravo psicanalista: «una società che rende pensabili tutti i possibili è destinata a scomparire» perché «il “posso tutto” è uno dei nomi della psicosi».

Non a caso nella stessa “cultura dei diritti”, «che ha sempre promosso, in nome di un individualismo che non accetta freni alla propria autorealizzazione, l’equazione tra ‘fattibile’ e ‘legittimo’» si vedono nascere «conflitti di interessi» che pongono «in una luce grottesca tutte le retoriche libertarie». Come nel caso della fecondazione eterologa, che vede «il diritto all’anonimato del donatore e alla riservatezza del genitore collidere col diritto del figlio, una volta cresciuto, di sapere da dove viene, quali sono le sue vere origini, e, più banalmente, a quali patologie legate a familiarità potrà andare incontro».

In questo senso, ha chiarito il vescovo, il dialogo è possibile sul solco di intellettuali di tradizione liberale come Jurgen Habermas e Francis Fukuyama, che hanno rintracciato con raro acume i limiti democratici della manipolazione genetica e il pericolo che si cela in una visione della procreazione come semplice produzione. Una sponda laica insieme alla quale «trovare e rispettare un punto di ‘inviolabilità’».

«Trovare, grazie a un dialogo aperto, punti di convergenza con il mondo laico per tutelare la dignità della vita dalle spinte commerciali, tecnocratiche, prometeiche è oggi un compito cui non dobbiamo sottrarci» ha concluso il vescovo, invitando chi vuol mettersi al servizio della vita a «coltivare una fede coraggiosa, aperta, dialogante, per un umanesimo incarnato, fraterno, capace di coltivare e custodire il mondo che ci è stato donato».

Scarica la relazione integrale di mons. Domenico Pompili