Mitoraj, scultore del tempo frantumato

L’artista polacco ha saputo dare materia ai suoi sogni, tra mito e metafisica

È di qualche giorno fa la notizia della morte dell’artista polacco Igor Mitoraj, uno dei più grandi e apprezzati scultori moderni. Tracciare un profilo critico di Mitoraj è più complesso di quanto possa sembrare e soprattutto diventa arduo comprendere cosa volesse trasmettere al nostro tempo la sua opera plastica composta di sculture epiche e mutile. Figure dal sapore classico che, come miti arcadici assopiti da un sonno millenario, riemergono come rocce dalla terra; titani spezzati, con la stessa vaghezza ambigua degli umanoidi metafisici di un de Chirico o di un Savinio.

Qualche anno fa, proprio quegli enigmatici personaggi scolpiti nella pietra o modellati nel bronzo, incontrarono la curiosità e la cultura del giornalista Costanzo Costantini (scomparso nel marzo di quest’anno), e da questo incontro nacque un suggestivo libro-intervista, “Enigma della pietra. Conversazioni con Igor Mitoraj” (Il Cigno GG Edizioni, 2006), che fece conoscere quell’umanità riservata e discreta dell’artista.

Proprio nelle pagine del volume di Costantini incontriamo una preziosa testimonianza di Mitoraj sulla genesi delle sue creazioni: “nascono dalle emozioni, dagli stati d’animo, dal flusso di ricordi, dal ritmo onirico degli umori che casualmente si impadroniscono di me. Scaturiscono dai più suggestivi ricordi, dai tristi avvenimenti passati inabissatisi nell’inconscio ma pur sempre presenti sia pure a profondità insondabili”.

L’aspetto emozionale delle sculture del maestro polacco è racchiuso in un sottile legame che, come un filo di Arianna, avvolge il fruitore dell’opera trasportandolo in una dimensione in bilico tra un passato remoto e un futuro ignoto. Attraverso la frammentazione metafisica di un corpo o di un volto classico si apre quel flusso emotivo, sotteso tra sogno e ragione, tra bellezza misteriosa e sacralità familiare. Costantini vedeva nelle statue scisse, frantumante di Mitoraj, il riflesso del nostro tempo, “un tempo frantumato come è frantumato l’uomo”.

Eppure le opere di quest’artista sono, paradossalmente, anti-museali, poiché trovano la loro ragion d’essere nello spazio aperto: vivono in simbiosi con l’ambiente e le natura che ne ha generato il materiale, dialogano con le fontane, con i parchi e gli alberi, sono come gli antichi genius loci.

“Qualcuno ha detto che le pietre respirano e che questo loro respiro è come il canto delle sirene. Perché attrae e seduce, per poi portare alla rovina. Ma io non mi son fatto portare alla rovina, o almeno non mi pare che sia accaduto”. Ecco un altro significativo passaggio del dialogo tra Mitoraj e Costantini. Proseguendo nell’intervista elogiava una “pietra” in particolare, che non era il bianco marmo di Carrara, bensì il travertino. Pietra antica, rozza e straordinaria insieme, che affascinava il maestro per quella intrinseca qualità spugnosa fatta di fessure e caverne, capaci di catturare la luce e creare le ombre, una roccia che “vive, vibra, respira, traspira. La pietra più vicina alla terra”. Ed ecco la Dea Roma dal volto triste ed enigmatico, scolpita in travertino di Tivoli coma la fontana di Bernini in piazza Navona, e posta, nel 2003, in un punto nevralgico della città capitolina: è alla stregua di una visione mitica, un’oasi di un tempo passato, immersa in una nebulosa città fatta di acciaio e cemento.

Ma il confronto non è solo con i miti di un indefinito pantheon pagano, anche il cristianesimo primitivo fa parte di un percorso di crescita interiore: è il ricorso a quella fede vissuta nell’intimità del cuore e costruita nella silenziosa ricerca di Dio. Le sue porte realizzate per la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, colpiscono non tanto per la bellezza classica a cui sono conformate, ma per l’energia spirituale che emanano attraverso eleganti forme fuse nel bronzo. Monsignor Carlo Chenis in un suo prezioso intervento sui portali della basilica romana elogiava lo scultore polacco non solo per la capacità di cogliere, con la sua realizzazione, il senso spirituale della porta, ovvero apertura verso il Regno dei Cieli; ma perché proprio quei portali, rappresentano una risposta forte e discreta verso la “orgogliosa dittatura del relativismo”, recuperando la sacralità dell’arte, rieducando gli animi alla “nobiltà del sentire”.