Piccoli bulli crescono…

Un fenomeno in espansione che chiama in causa le famiglie e la scuola

Lesioni personali, ingiurie, minacce, diffamazione. Di questi reati dovranno rispondere davanti al Tribunale per i Minori due ragazzine di Ragusa, che per l’intera estate hanno preso a bersaglio una loro coetanea. A Torre Annunziata, un ragazzino di tredici anni picchia la sua insegnante – riceve una prognosi di 5 giorni di guarigione – che gli aveva negato il permesso di uscire dall’aula. Ad Adelfia, in provincia di Bari, due ragazzi di 12 e 13 anni, dopo la scuola, aggrediscono e picchiano un uomo di 56 anni, procurandogli la frattura di un femore. Sempre in provincia di Bari, ad Acquaviva delle Fonti, due ragazzi tornano da scuola e vengono aggrediti vicino alla fermata dell’autobus da quattro coetanei, che gli procurano cicatrici sul viso. In due scuole superiori di Bari, per alcune settimane, si verificano atti di violenza e di vandalismo inauditi, tanto che i docenti sono costretti a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, che presidiano gli istituti scolastici e provvedono ad identificare chi accede ai locali per maggiore sicurezza. Sono alcune delle storie di bullismo al Sud avvenute nelle ultime settimane. L’elenco è lunghissimo e di certo non terminerà con l’ultima storia – quella del ragazzo di 14 anni, del quartiere di Pianura, a Napoli, torturato con un compressore da quattro 24enni perché era grasso – esemplificativa di quel che possono divenire i minori violenti, se non vengono fermati in tempo.

L’ultima indagine Istat sulla criminalità – i dati sono relativi al 2012 e riguardano il “numero di minori denunciati” e l’“indice di criminalità rilevato” – mette in chiaro, da un lato, che il problema è generalizzato e dall’altro, però, che le situazioni più a rischio sono concentrate al Centro-Sud. In Sicilia, i minori denunciati perché colpevoli di reato, da cui si esclude il furto, sono stati 3.108, 378 in meno rispetto al 2011, ma rimangono i dati più alti di sempre. L’altra regione critica è il Lazio, con 3.128 minori denunciati e con una situazione gravissima a Roma, dove nel passaggio dal 2011 al 2012 i minorenni denunciati sono stati 256 in più, aumento tra i più alti nel paragone tra le tre regioni considerate. La Calabria ha un tasso di criminalità minorile dell’87,7%, cresciuto del 10,3% rispetto all’anno precedente; la Campania, l’82%; la Sardegna il 77,5%; la Puglia, il 72%.

Le ragioni di questo drammatico boom, potranno essere in parte anche “sociologiche” – il degrado culturale, la dispersione scolastica, l’”ambiente” che si frequenta, i mezzi tecnologici di cui i giovani sono al giorno d’oggi irresponsabilmente dotati dai loro genitori (il cosiddetto “cyberbullismo” è una realtà con la quale fare i conti) – o legate alla dimensione, pur oggettiva, del male, che dilaga dappertutto, senza trovare più ostacoli. C’è anche una ragione più profonda e, forse, più vera. I bambini, i ragazzi riproducono quello che vedono e quello che vivono nel loro primo “foro” di appartenenza. Da un’indagine condotta su 300 pediatri di famiglia dall’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss), in Italia i minori presi in carico dai servizi sociali per maltrattamenti sono circa 100mila, ma secondo le stime almeno altri 700mila sono i casi a rischio o che non sono stati denunciati. “Nel 53% dei casi il maltrattamento consiste in una trascuratezza materiale e affettiva, a volte molto difficile da individuare dall’esterno”, rileva l’indagine. Non si vuole certo dire che le vittime diventano carnefici, ma che possano esprimere disagi, questo sì e riversare sugli altri i “modelli” che subiscono. La scuola dovrebbe essere il soggetto più idoneo ad intervenire. Il problema è proprio questo: ha la scuola italiana, così come la conosciamo, saperi, strumenti e mezzi, per farlo?