Misericordia: la chiave è la cura

Tra le attività del sodalizio, la costante presenza nel mondo del volontariato sanitario, l’idea di provvedere al “soccorso” come forma di evangelizzazione di se stessi e del prossimo, l’impegno in proposte culturali di diverso spessore, spesso articolate all’interno dello spazio dell’Auditorium dei Poveri.

La scorsa settimana ha sollevato un certo interesse l’apertura di un ufficio della Confraternita di Misericordia di Rieti a Cittaducale. L’impegno del sodalizio è quello di allargare il movimento e costruire percorsi “in osmosi” con il territorio: da un lato fornendo il proprio contributo immediato in ambito sanitario, nel primo soccorso e nel trasporto degli infermi, dall’altro proponendosi di essere volano di nuovo volontariato, accogliendo quanti sentono il desiderio di prestare questo genere di servizio per gli altri.

Un proposito nel quale il parroco padre Mariano Pappalardo ha riconosciuto il segno della Chiesa in uscita, perché «una fede che non fermenta la vita civile, il senso etico, ma anche la concretezza del nostro vivere sarebbe una cosa che sta per aria. E se sta per aria non sta con Dio, perché Dio ha scelto di abitare la Terra».

Ma il nome della Misericordia ricorre anche in ambiti diversi da quelli sanitari, dato che la confraternita è costante promotrice di iniziative culturali in città tramite l’Auditorium dei Poveri, oltre ad essere annualmente impegnata nella produzione della Rievocazione Storica della Canonizzazione di San Domenico di Guzmàn.

Proviamo allora ad approfondire cosa muove l’associazione insieme a Fabio Spaccini, da poco più di un anno Governatore del sodalizio. «La dimensione sanitaria e quella culturale – ci spiega – non sono in contraddizione. La vocazione delle Misericordie è quella del “prendersi cura”. Del corpo, ovviamente, ma anche dello spirito. Le radici del movimento affondano nel pieno Medioevo, nel periodo della fioritura del sistema dei comuni, dell’accentuarsi della lotta fra Impero e Papato. In quell’epoca convulsa e incerta, le varie Compagnie nascevano allo scopo di richiamare gli uomini verso un punto fermo, un riferimento sicuro: l’insegnamento del Vangelo. Uno scopo che si ottiene tramite l’esercizio della carità, che è l’amore nei confronti degli altri».

È un atteggiamento che presuppone un rapporto stretto con la città…

Naturalmente. La Misericordia esiste solo nel contatto diretto con le persone, nella dimensione del servizio. Ciò che dà forza alla confraternita è la determinazione dei volontari, ma questa è costantemente alimentata dall’incontro con l’altro, quando è malato e sofferente, ma anche quando viene a partecipare ad una proposta culturale, sia essa un convegno, una mostra o un concerto. Questo rapporto ci dà sostegno anche dal punto di vista materiale. In linea di principio ci finanziamo per conto nostro. Accettiamo donazioni quando vengono dal cuore delle persone, quando c’è sintonia tra lo spirito di chi offre e quello con il quale prestiamo a nostra opera. Se siamo noi a chiedere un contributo, ad esempio per l’acquisto di una ambulanza o delle apparecchiature elettromedicali necessarie al servizio, lo facciamo sempre per piccole cifre, per una frazione minore rispetto al nostro impegno. Per noi è un punto di orgoglio e di decoro.

Perché?

Perché occorre liberare la nostra realtà dal senso di servitù. Per dimostrare che anche se i “finanziatori istituzionali” non erogano contributi le cose funzionano lo stesso, il mondo continua a girare e ci si può comunque prendere cura gli uni degli altri. Magari si fatica dal punto di vista materiale, ma ci si guadagna tantissimo dal punto di vista spirituale. Per questo con tanto zelo difendo la dignità della Confraternita. Più dei finanziamenti conta la correttezza, la pulizia e il rispetto del malato con cui ci muoviamo in ospedale.

Sembra un messaggio più generale, una proposta culturale…

Infatti. Fare le cose non è solo un problema di mezzi: è un problema di volontà. Le cose si possono fare ancora. Sarebbe vero anche in politica: l’equazione “no-soldi / no-politica” è falsa, non ritorna. Ad esempio, dire che un clandestino non è un reo solo per la condizione umana che vive è un problema di soldi? Per invitare i cittadini a prendersi cura in prima persona di alcune situazioni, ci servono i soldi? O non si motiva perché non c’è interesse a motivare? Talvolta ho l’impressione che al di là della retorica una vita civile partecipata non piaccia a molti… Oggi c’è chi si propone di moralizzare la vita pubblica tagliandosi lo stipendio. Ma non è quello che fa la differenza. Quello che riesce a moralizzare la realtà, a farla cambiare, è la cura con cui si fanno le cose, perché possano essere restituite alla collettività curate, “messe a posto”. È anche un problema materiale. Se io non mi prendo cura di un’ambulanza come faccio a trasportare i malati, se non mi prendo cura dell’Auditorium, come faccio a dare spazio alle idee, alle mostre, ai discorsi? Se sfascio tutto, se non educo alla conservazione, al prendersi cura, che ne faccio?