“Mai più precari pubblici”. Promessa da mantenere

Resta però da riformare radicalmente la pubblica amministrazione, decidendo cosa debba fare e cosa invece lasciare al privato; rifornendola di risorse adeguate soprattutto a livello tecnologico; mettendone in rete le diverse articolazioni e valutandone infine la qualità del lavoro complessivo e dei suoi singoli addetti.

Parafrasando il Neil Amstrong passeggiante sulla Luna, un piccolo passo per il sistema-Italia, un grande passo per decine di migliaia di lavoratori (120mila, amplifica il governo) appesi da anni a una condizione di precarietà per il proprio impiego con la pubblica amministrazione. I recenti provvedimenti governativi di stabilizzazione di molti dipendenti a termine (ma ormai con cronica precarizzazione), nonché dell’immissione in ruolo di molti altri vincitori di concorso ma parcheggiati da tempo nel limbo dell’“oggi no, domani forse”, sanano un’ingiustizia prorogata di anno in anno.

Nel pubblico impiego da anni esiste il blocco delle assunzioni, ma si sopperisce alle esigenze operative facendo entrare dalla finestra della precarizzazione migliaia di lavoratori senza i quali molti servizi pubblici semplicemente sarebbero paralizzati. E vari provvedimenti hanno di fatto impedito a chi ha vinto i pochi concorsi effettuati, d’iniziare il proprio percorso lavorativo e di carriera.

A trarne i maggiori benefici dovrebbe essere il sistema scolastico, anche se esso stesso non è ora preparato a immettere nei suoi ranghi i neo-assunti. Nell’era dell’informatica e di internet, molta pubblica amministrazione si muove ancora sul dorso dei muli.

Niente di trascendentale dunque, ma un atto dovuto che è da leggersi positivamente in questa situazione di drammatica crisi occupazionale. E ne diamo merito a questo governo, finora bravo nelle piccole cose. Ci sarebbe in verità da riformare radicalmente la pubblica amministrazione, decidendo cosa debba fare e cosa invece lasciare al privato; rifornendola di risorse adeguate soprattutto a livello tecnologico; mettendola in rete tra le sue branchie e valutandone infine la qualità del lavoro complessivo e dei suoi singoli addetti.

Ma questa riforma, che è storica realtà in altri Paesi, da noi sembra ancora catalogata tra la fantascienza e l’astrologia. Rimane il fatto che possiamo e dobbiamo uscire da una logica che guarda solo alla quantità, ai numeri di un settore pubblico (in oggettivo dimagrimento) che non può più essere considerato la spina nel fianco del sistema-Italia, quanto un asset decisivo per dare competitività allo stesso, e per fornire ottimi servizi rispetto alle risorse (tasse) fornite dai cittadini.

Quanto alle promesse di “inversione di rotta”, di stop alla babele occupazionale… beh, sono promesse che troveranno fiducia quando vedremo comportamenti lineari anno dopo anno, governo dopo governo. Ma una cosa, questi provvedimenti hanno chiarito una volta in più: questo Paese ha bisogno di essere governato. Bene, aggiungiamo noi. Ma certamente la mole di questioni da affrontare è tale, e l’urgenza si fa sempre più acuta, che altri mesi di paralisi governativa questa volta potrebbero risultarci letali: lo ha ribadito a chiare lettere il presidente Napolitano. E la logica dell’emergenza continua fa sì che si applichino cerotti alle nostre ferite, senza mai avere la capacità e il tempo di affrontarle come si deve.