La Siria non è la Libia. Qui si gioca la partita fra sunniti e sciiti

Il presidente del Cesi, Andrea Margelletti, mette in guardia dal rischio di un intervento armato “sprovvisto di una definita e chiara strategia politica” che “si tramuterebbe in un danno”. Elogiata “la posizione italiana, tesa ad ampliare il più possibile le voci di dialogo e la diplomazia degli attori”

“Scegliere la scorciatoia delle armi senza aver ben definiti gli intenti finali, sarebbe disastroso”. Così Andrea Margelletti, presidente del Cesi (Centro studi internazionali) e consigliere strategico del ministro della Difesa, commenta la delicata questione siriana a pochi giorni dalla denuncia dei ribelli sui presunti attacchi con il gas a Damasco da parte del regime di Bashar al-Assad. Ora che il Rubicone delle armi chimiche sembra essere stato varcato, il mondo attende col fiato sospeso la reazione della comunità internazionale, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna si presentano compatti sul piede di guerra.

Come commenta gli equilibri che si stanno definendo? Il rischio di un intervento è davvero così imminente come sembra?

È prematuro pensare a un intervento immediato, anche se la pianificazione militare per alcune nazioni è avviata. Credo che nell’arco di una settimana, o nei prossimi dieci giorni, potrebbe esserci l’inizio di un’operazione che, per come si sta preconfigurando, farà uso di missili cruise, quelli a traiettoria guidata.

Da Palazzo Chigi è stata auspicata “una soluzione in ambito multilaterale”. È immaginabile?

Il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha auspicato una posizione condivisibile. Ma, a differenza dello scenario libico, contenibile all’interno di quella dinamica, l’apertura di un fronte in Siria creerebbe indiscutibilmente delle criticità a livello regionale con punti oscuri che in questo momento non sono neanche prevedibili. Discutiamo dell’apertura di un netto fronte che vede, da una parte, gli sciiti, e, dall’altra, realtà islamiste integraliste. Non dimentichiamo che, aldilà della geopolitica del momento, si sta in questo momento, attraverso la Siria, giocando un ‘redde rationem’, tra sunniti e sciiti, che ha radici secolari.

Per il ministro degli Esteri, Emma Bonino, “non c’è una soluzione militare al conflitto in Siria, si deve continuare a operare con grande determinazione per una soluzione politica”. È ancora possibile?

Sostengo da sempre che un’operazione militare sprovvista di una definita e chiara strategia politica si tramuterebbe in un danno. La posizione italiana, tesa ad ampliare il più possibile le voci di dialogo e la diplomazia degli attori, è determinante.

Qualcuno parla di intervento armato su “modello Kosovo”, ma il ministro Bonino ha escluso il coinvolgimento del nostro Paese senza l’ok dell’Onu. Cosa significherebbe, per l’Italia, un intervento in Siria?

Ammesso e non concesso che ci sia, dipenderà dalla coalizione. Potrebbe esserci un intervento della Nato, o dell’Unione europea, dipende molto dall’architettura dei soggetti e dagli attori che andranno a comporre un’eventuale azione in Siria. C’è da definire contro chi si combatte e con quale intento.

Quali strategie pratiche verrebbero adottate per un eventuale intervento, considerati anche i confini “caldi”? Un “attacco lampo”, come scrive il “Washington Post”?

Parlerei piuttosto di azione punitiva, non di attacco perché quest’ultimo si configura come prolungato e necessita anche di un chiaro mandato politico. Si tratterebbe di un intervento estremamente limitato nel tempo ed esclusivamente con missili a lungo raggio, senza intervento di velivoli, se non in fase di ricognizione.

Rischia di saltare tutta l’agenda del vertice G20, in programma tra una settimana a San Pietroburgo. La situazione è delicata. C’è speranza che Obama ottenga la neutralità russa?

L’agenda non potrà che risentire delle contingenze del momento, ma questo avviene in occasione di tutti i grandi incontri internazionali. Escludo, però, che la Russia si possa muovere diversamente da come annunciato. È difficile fare previsioni, anche se l’accelerata preparazione degli assetti militari lascia presagire uno strike limitato e non un intervento su larga scala. Occorrerà, comunque, osservare le risposte siriane, che potrebbero innescare una crisi a spirale.