Sono oltre i bordi della cronaca, anzi sono nella non cronaca. Non fanno notizia. In queste domeniche centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze stanno vivendo per la prima volta nelle loro comunità parrocchiali il mistero più alto della fede cristiana. Un mistero per il quale ancora oggi nel mondo molti cristiani pagano con la vita la loro fedeltà a quel Dio che si è fatto uomo perché fedele all’uomo. I loro abiti macchiati di sangue diventano punti interrogativi anche sugli abiti candidi di tanti ragazzi e ragazze che in questo tempo entrano, con le loro famiglie, nel mistero di un amore infinito.
Le domande più forti, in verità, sono rivolte agli adulti che troppo spesso non riescono a dare a se stessi, e quindi a trasmettere ai giovani, il significato e il volto di una fede pensata e vissuta.
Eppure, un ateo seduto in fondo a una chiesa in Francia guardava la lunga fila di uomini e donne di ogni età e di ogni estrazione sociale che andavano a ricevere l’Eucaristia. Si chiedeva, l’ateo pensante, quale strano desiderio spingesse tante persone verso quell’incontro con l’Invisibile. Era incuriosito perché nella sua onestà intellettuale aveva compreso che non si trattava di una fila di stravaganti personaggi in preda a illusioni oppure in fuga dalla realtà.
Ma oggi questi ragazzi e queste ragazze che per la prima volta si accostano al sacerdote per lasciarsi coinvolgere nel mistero e questi adulti che si mettono in coda per lo stesso motivo fanno nascere domande? Fa nascere domande nella nostra cultura e nella nostra società l’incontro tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo? Questi ragazzi e queste ragazze dalle vesti bianche appartengono a un rito antico e monotono, che comunque è meglio conservare, oppure appartengono a un progetto di amore e di speranza che senza di loro non potrà essere continuato?
Qui la cronaca può fare ben poco e, ligia alle sue regole, decide che l’unica possibilità è di non registrare fatti che, pur coinvolgendo milioni di persone, hanno il difetto mediatico di essere senza urla, striscioni e megafoni. Non sa, la cronaca che c’è uno “straordinario” che non ha bisogno di effetti speciali per essere tale.
Il contrario accade però per la comunione ai divorziati: qui la cronaca si lancia spesso e volentieri in racconti con una buona dose di confusione e con un’altrettanta buona dose di strumentalizzazione del pensiero di papa Francesco.
Ma la preoccupazione non viene dal nulla mediatico sugli abiti bianchi di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze.
Preoccupa di più la scarsa capacità di declinare le Prime Comunioni di queste domeniche di maggio con la testimonianza dei martiri cristiani che nel mondo anche oggi sono numerosi. Le vesti macchiate di sangue e le vesti bianche non sono immagini distanti. Non sono neppure immediatamente accostabili ma non si trasmette la fede alla nuove generazioni se non le si aiutano a comprendere il significato di un martirio che in Occidente non arriva alla privazione della vita ma è la fierezza di dire la propria fede nei luoghi quotidiani del lavoro, dello studio, della sofferenza, dell’impegno culturale, sociale e politico.
I giovani non sono insensibili a questo richiamo. Gli adulti, però, non si affrettino a silenziarlo con il loro realismo senz’anima.
Se il colore della fede dei martiri tingerà le vesti bianche dei ragazzi e delle ragazze di queste domeniche di maggio, la bellezza, che oggi è ai suoi bordi, entrerà nella cronaca. Almeno in quella che avverte il compito di raccontare non solo una parte della realtà.