«Ma eri proprio tu?». La domanda è quella che ognuno potrebbe porre al supremo Giudice quando gli renderà conto se ha fatto o no quelle conosciute come opere di misericordia al “più piccolo dei fratelli”. È partito da questa domanda suggerita dal richiamo al Giudizio universale, il vescovo Domenico, nell’aprire l’incontro pastorale 2018 della Chiesa di Rieti. Dopo l’invocazione allo Spirito Santo e la preghiera a Maria (quella che papa Francesco pone a chiusura della Evangelii gaudium) la riflessione iniziale di monsignor Pompili prende spunto dal brano del capitolo 25 di Matteo, appena proclamato all’ambone dal lettore Natale, in cui Gesù annuncia che sulla capacità di condividere le fragilità e i bisogni degli altri si gioca la beatitudine o dannazione eterna. E con l’immagine proiettata alle sue spalle, il celebre affresco del Giudizio universale del Torresani che campeggia nell’abside dell’oratorio San Pietro Martire nel chiostro di San Domenico, il vescovo guida la riflessione iniziale della tre giorni diocesana dedicata alle ricadute sociali – in particolare sulla scorta della Laudato si’ e delle sue provocazioni su ecologia ed economia – dell’azione evangelizzatrice.
«Alla sera della vita saremo soppesati su poche cose fatte o non fatte», ricorda Pompili, precisando, però, come «questa insistenza sul fare, non nega la fede, ma ne rivela l’essenza. Credere non è un cercare Dio in astratto, ma trovarlo dentro l’appello che sale dall’umanità». Una persuasione che «ribalta da subito un retro-pensiero davanti all’Incontro Pastorale 2018. Cosa c’entra mai l’economia, il lavoro, i soldi, le attività produttive con la fede? Non c’è il rischio di ridurre il cristianesimo a sociologia?». Nessuna sociologia, ma puro Vangelo. Perché Gesù ci dice chiaramente che questo dell’avrete fatto a me è «il test dell’autenticità della nostra relazione con Lui. Chi non Lo riconosce nel prossimo finisce per non conoscerLo affatto». Una verità di fondo da non dimenticare, che «ci aiuta a ritrovare il legame tra l’a-di-qua e l’al-di-là», perché se quello che c’è al-di-là è «per noi misterioso e indecifrabile», è vero però che «la giustizia che nell’al-di-qua non si realizza mai del tutto ma troverà finalmente posto nell’al-di-là» e questa dunque «è la molla che spinge ad impegnarsi perché sappiamo che alla fine giustizia si farà. Viceversa quando si è privi di tale prospettiva si soccombe alla dura realtà e si rischia di estraniarsi disgustati e frustrati». E Pompili cita il Concilio, la Gaudium et spes che ricorda come i valori del regno vengano seminati nella storia.
Poi mette in guardia circa «un altro retro-pensiero» che rischia di scoraggiare l’azione dei credenti nella vita sociale: «Ma è poi vero che i cristiani sono utili alla causa dello sviluppo?» e qui il vescovo fa riferimento a una recente ricerca coordinata dal docente di Bristol Daniel Ruck, riguardo il rapporto tra crescita del Pil e valori esistenziali: «La conclusione è che ovunque l’aumento di secolarizzazione ha preceduto di molti anni la crescita economica, suggerendo che ad una diminuzione della fede subentra un crescente progresso umano. Insomma, meno Dio più Pil!». Da non esserne allegri, certamente… Ma, si chiede monsignore, «stanno proprio così le cose? A dispetto di quanto sosteneva già Max Weber per il quale, al contrario, il cristianesimo protestante fu uno dei motori della rivoluzione industriale? O aveva ragione Emile Durkheim per il quale il progresso economico, non ha bisogno di religiosità, ma, anzi, soddisfacendo i bisogni materiali tende a sostituire la fede?». Certo, «un rapporto di causa-effetto, meno fede più crescita, non è evidente. Non si può, tuttavia, negare una correlazione a un livello più profondo. Il benessere economico, quando arriva peraltro in modo diseguale, appaga e addormenta. E fa perdere lo slancio verso il cambiamento». Eccolo l’allarme: «Il denaro finisce per sostituirsi a Dio come un idolo, cui si sacrifica tutto il resto. Questo è il punto. La fede è un anticorpo al semplice crescere del Pil e allarga l’orizzonte dei criteri. Non basta il dato economico se non procede di pari passo la crescita culturale, sociale e spirituale. Non è forse questo il problema di una società come la nostra che non si è sviluppata perché schiacciata dentro una visione troppo piatta?».
Due retropensieri che ha inteso ben chiarire, don Domenico, prima di passare a l tema in questione, con un riferimento all’intervista a papa Francesco appena uscita sul Sole 24 ore, col Pontefice che ricorda che «dietro ogni attività umana c’è una persona umana. Essa può rimanere anonima, ma non esiste attività che non abbia origine dall’uomo. L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale: dietro a ciò c’è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi , quelli veri, si fanno con il lavoro. È il lavoro che conferisce la dignità all’uomo e non il denaro. La disoccupazione che interessa diversi Paesi europei è la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro». E Pompili ha voluto evidenziare in queste parole del Papa per cui “i soldi non si fanno con i soldi” quello che è «il nocciolo» della riflessione di questo Incontro pastorale.
Nocciolo che il vescovo sintetizza così: «Se la fede è morta senza le opere; se non è vero che il Pil cresce quando la fede scompare, si tratta ora di dimostrare coi fatti che la chiesa contribuisce a cambiare il mondo in meglio. A partire da questo ‘piccolo mondo antico’ che è il nostro territorio ecclesiale, segnato da una grave crisi economica, da uno spopolamento progressivo, da un invecchiamento che è superiore al trend nazionale. In questi tre giorni cercheremo di capire e poi di agire».