Sisma 2016

«L’unico antidoto al dolore è l’amore»: il vescovo Domenico ricorda le vittime di Amatrice

Il vescovo Domenico ha presieduto la solenne celebrazione liturgica nel campo sportivo di Amatrice per la ricorrenza dei cinque anni dal terremoto

«La memoria dei nostri cari non può essere esercizio astratto, ora quel dolore lo portiamo in questa celebrazione. L’unico antidoto al dolore è l’amore». Ha pronunciato queste parole il vescovo Domenico, prima di presiedere la solenne celebrazione celebrata nel campo sportivo di Amatrice per la ricorrenza dei cinque anni dal terremoto che devastò i paesi dell’alto Lazio.

«È cinta da grandi e alte mura con dodici porte. La città antica era costruita attorno alle mura e alle porte. Mai le une senza le altre. Solo così si stava al sicuro e – al tempo stesso – in relazione. Prendendo spunto dall’immagine utilizzata dall’Apocalisse nel descrivere la città futura, possiamo spingere lo sguardo su queste “terre mosse” dell’Appennino che – dopo anni di incertezza e di ritardi – sembrano avviate finalmente alla loro ricostruzione».

È con questa premessa che il vescovo Domenico Pompili avvia la sua omelia in occasione della Santa Messa celebrata nel campo sportivo di Amatrice per la ricorrenza dei cinque anni dal terremoto. Tra i presenti, il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, giunto per la prima volta ufficialmente nei territori terremotati del centro Italia.

Dunque, la ricostruzione si sta avviando, «però, ci si accorge che non basta ri-costruire», ha detto monsignor Pompili davanti alla platea commossa, sottolineando che questa’anno, rispetto ai precedenti, «l’atmosfera appare più spepranzosa per l’avvio dei lavori al centro storico». Tuttavia, c’è ancora molto da fare.

Prima di tutto, occorre «“costruire” un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente: non limitarsi, cioè, a riprodurre le forme del passato, ma lasciarsi provocare dalla natura, che è creativa e aperta al futuro».

«Non si tratta – ha specificato il vescovo – di un nostalgico recupero della dimensione bucolica, ma di un progetto di investimento economico e di sviluppo demografico, rivolto ad una parte dimenticata del nostro paese, che era tale ben prima del terremoto del 2016. Questi borghi, dunque, vanno ripensati perché sono oggi luoghi di grandi potenzialità. Ciò accadrà se sapremo stipulare o un vero e proprio “contratto” tra la città e la montagna».

facendo riferiemenot all’acqua potabile, all’aria pulita, al cibo di qualità, al legno degli arredi, monsignor Pompili ha sottolineato «un enorme debito che le città hanno maturato verso le aree interne».

Un debito che ora necessita di essere onorat, riabilitando i piccoli borghi con tante accortezze. Curando un’agricoltura di qualità, ma anche occupandosi dei boschi, del mare, dei laghi, delle coste, del paesaggio tutto.

«Non abbiamo bisogno di nuovi presepi, ma di piccoli centri attivi, a presidio di un territorio ancora straordinario e attraente per l’autenticità dei luoghi», ha concluso don Domenico. Senza tralasciare di fare da pungolo per quanto riguarda «l’incomprensibile arretratezza delle sue infrastrutture», dalla statale Salaria «in via di definizione », ai due mari Tirreno e Adriatico, ancora separati per qualche centinaia di chilometri da una ferrovia non ancora realizzata.