Lo “sguardo” ecclesiale di Papa Francesco

A rileggere oggi, a mente fredda, il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi del Messico lo scorso 13 febbraio, durante il viaggio apostolico nel Paese, vi si trova un vero e proprio compendio della sua visione ecclesiologica. In quel testo sono presenti tutti gli “accenti ecclesiali” cari a Bergoglio.

C’è sguardo e sguardo. C’è lo sguardo di tenerezza e, di contro, quello di durezza. C’è lo sguardo capace di tessere e quello capace di dividere. C’è poi lo sguardo attento e vicino, non addormentato e, al contrario, quello disattento, lontano, addormentato. E, ancora, c’è lo sguardo d’insieme e di unità e quello frammentato, individuale, ripiegato su se stessi. A rileggere oggi, a mente fredda, il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi del Messico lo scorso 13 febbraio, durante il viaggio apostolico nel Paese, vi si trova un vero e proprio compendio della sua visione ecclesiologica. Sia ben chiaro: il discorso è rivolto ai vescovi di un determinato Paese – il Messico – con tutte le sue difficoltà e risorse; quindi, circoscritto a una situazione di Chiesa particolare. Nonostante ciò, che non è affatto un limite, anzi…, in quel testo sono presenti tutti gli “accenti ecclesiali” cari a Bergoglio.

Il contesto: siamo a Città del Messico, nella cattedrale dell’Assunzione. E Francesco, dopo essersi raccolto in un lungo e intenso momento di preghiera, spiega che “da tempo nutriva il desiderio di vedere” la Vergine di Guadalupe. Ed aggiunge: “Più ancora, vorrei io stesso essere raggiunto dal suo sguardo materno. Ho riflettuto molto sul mistero di questo sguardo e vi prego, accogliete ciò che sgorga dal mio cuore di Pastore in questo momento”.

Già qui una prima annotazione sul termine scelto e cha dà il tono a tutta la riflessione:

sguardo.

È una parola che appartiene al lessico di Bergoglio-Francesco. Oltretutto, nella spiritualità ignaziana la trasformazione dello sguardo è molto importante e il verbo “mirar” (guardare) è uno dei più presenti negli “Esercizi spirituali” con grande ricchezza di significati: osservare, discernere, contemplare e anche prendersi cura… Non è un caso, quindi, che il Papa abbia fondato il suo discorso sullo sguardo, così come non è casuale il corollario esplicativo: di tenerezza, capace di tessere, attento e vicino, non addormentato, d’insieme e di unità…

Uno sguardo di tenerezza. È quello che appartiene a ogni madre. È il sentimento profondo intrinseco alla stessa maternità. Francesco non parla di qualcosa di astratto, ma di concreto e visibile. La tenerezza comunica… la persona, la sua intimità, i suoi segreti… “È necessario – afferma il Papa – uno sguardo capace di riflettere la tenerezza di Dio. Siate pertanto vescovi di sguardo limpido, di anima trasparente, di volto luminoso. Non abbiate paura della trasparenza. La Chiesa non ha bisogno dell’oscurità per lavorare”. Sarebbe una grave contraddizione!

Perché se è vero che la tenerezza appartiene in modo particolare alle madri, è altrettanto vero che appartiene in modo esclusivo alla Chiesa. E questo non per assimilazione, ma per natura. Chiesa-madre è l’immagine che Papa Francesco più predilige.

Come egli stesso ha detto più volte: “La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre! […] Se la Chiesa non è madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! È così: non è feconda. […] L’identità della Chiesa è questa: evangelizzare, cioè fare figli […] per questo la Chiesa deve fare qualcosa, deve cambiare, deve convertirsi per diventare madre”. Il percorso è esplicito: “La Chiesa deve convertirsi per diventare madre”.

https://www.youtube.com/watch?v=h24_gbxSZgg

Uno sguardo capace di tessere. E proprio perché Chiesa-madre, non può che essere promotrice di unità. Non si è mai vista, infatti, una mamma che divide anziché unire. E se ciò avviene, è sicuramente contro-natura. Certo la “capacità di tessere” ha un sapore particolare in un Paese eterogeneo come il Messico, dove sono riconosciute oltre 60 lingue (contando quelle indigene amerinde). Ma questo richiamo interpella tutti! Torna alla mente l’episodio biblico narrato nel primo libro dei Re (3,16-28), quando Salomone, uomo di grande saggezza, a cui Dio ha dato la capacità di saper distinguere il bene dal male, permette il trionfo della verità sulla menzogna. Due donne si presentano a lui ed entrambe reclamano la maternità di un bimbo. Salomone, dopo aver chiesto chi fosse la vera madre e aver ricevuto l’ovvia risposta da entrambe, propone di dividere il bambino in due. La vera madre non avrebbe mai permesso che il figlio morisse a costo di non vederlo mai più. Ed è così anche per la Chiesa, in tutte le sue forme ed espressioni:

l’unità nella verità non accetta mormorazioni e maldicenze che dividono.

Uno sguardo attento e vicino, non addormentato. È il prerequisito per la Chiesa in uscita. “La prima riforma – affermava il Papa, tra l’altro, nell’intervista a La Civiltà Cattolica(19 settembre 2013) – deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Come non pensare anche al discorso del 21 giugno 2013 ai rappresentanti pontifici: “I pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada”.

L’attenzione e la vicinanza richiedono empatia, disponibilità, arricchimento reciproco, relazione… In una parola: ascolto!

E questo vale, soprattutto, a livello ecclesiale. Ascolto attento con il desiderio di andare oltre, di “riscaldare il cuore”…

Uno sguardo d’insieme e di unità.
È il punto focale e l’orizzonte cui guardare. È il leitmotiv del magistero di Papa Francesco. A essere chiamato in causa non è solo il collegio episcopale, ma tutto il popolo di Dio.

L’insieme e l’unità indicano una strada ben precisa: la comunione!

La Chiesa stessa, d’altronde, come insegna l’ecclesiologia post-conciliare, è “mistero di comunione”. Se ciò viene preso sul serio, allora questa realtà originaria deve manifestarsi nella vita d’ogni comunità ecclesiale e deve funzionare come norma di vita. La comunione è dimensione costitutiva della Chiesa.

Ecco, allora, un identikit dai contorni ben definiti: una Chiesa-madre che vive la tenerezza e la misericordia, capace di tessere, attenta e vicina a tutti… in comunione!