Dal vescovo l’invito a vivere la domenica per guarire il nostro rapporto con il tempo

Madonna del Riposo: con queste tre semplici parole si potrebbe sintetizzare la meditazione svolta dal vescovo Domenico durante il pontificale celebrato, nella Basilica Cattedrale, in onore della Madonna del Popolo, una delle tre patrone della città di Rieti insieme con santa Barbara e la beata Colomba. Mons. Pompili ha esortato a guardare a Maria, che a suo tempo ha partecipato «con discrezione e premura alle prime assemblee dei cristiani nel giorno del Signore», quale modello di santificazione della domenica. D’altronde, quasi tutti i testi proposti dalla liturgia della parola della seconda domenica di Pasqua hanno a che fare con il dies dominicus: il Vangelo naturalmente, che colloca l’apparizione del Signore risorto agli apostoli «la sera di quel giorno, il primo della settimana», ma anche il brano dell’Apocalisse, nel quale Giovanni confida di essere stato preso dallo Spirito «nel giorno del Signore».

Una coincidenza, questa, che don Domenico non ha mancato di rilevare, sottolineando come il cristianesimo, già ai suoi albori, abbia rinumerato i giorni della settimana: quello della risurrezione di Gesù «è “il primo” e non l’ultimo, come pensiamo noi dentro la logica del week end. Ce n’è abbastanza per rivedere il nostro calendario e soprattutto per ritrovare il nostro rapporto con il tempo». Al giorno d’oggi proprio la relazione poco equilibrata di tutti, cristiani inclusi, con il tempo denota una «patologia che in profondità significa idolatria: non sono io che ordino il tempo, ma è il tempo che mi schiavizza». È invece la Scrittura a tracciare la via: essa «si apre con Dio che crea e ordina il tempo»; anzi, a dirla tutta, la Bibbia «si interessa più al tempo che allo spazio. Per questo il culto a Dio, prima che in uno spazio, si compie in un tempo speciale, che è quello riservato alla preghiera a determinate ore del giorno. Al Dio che si dona si riconosce la sua presenza riservando del tempo, donando del tempo per la comunione con lui. Perché donare il tempo significa donare la vita!».

I primi cristiani, che si muovono ancora entro l’alveo della tradizione giudaica, ben presto sostituiscono il sabato con la domenica, ma del primo conservano il senso profondo di «giorno per il riposo e per la preghiera insieme». E sulla capacità aggregativa della domenica ha insistito il vescovo, a fronte di un’epoca, la nostra, che ha barattato «il riposo con lo svago, la riflessione con l’eccitazione, l’incontro con l’isolamento». Lungi dal poter essere derubricato a mero precetto da assolvere, quello del Signore è il giorno in cui la Chiesa si riunisce come assemblea orante alla presenza del Salvatore. In questo senso, l’importanza da annettere alla domenica si pone come «una questione di identità e di rivelazione della nostra fede. Non servono rimbrotti o prediche, ma solo una constatazione: quanto meno cresce la partecipazione alla messa, tanto meno si costruisce una comunità di persone. Essere assidui all’insegnamento degli apostoli, alla koinonia tra i credenti, alla frazione del pane, è essenziale per la sequela di Cristo».

Alla Madonna del Popolo, prima che la sua immagine venisse portata in processione per le vie del centro storico, il vescovo ha chiesto la grazia di «farci ritrovare il senso, il gusto e l’impegno per vivere la domenica. Il popolo non c’è senza quest’appuntamento e rischia di essere un ammasso casuale di persone che camminano vicine, senza tuttavia sentirsi prossime».

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