LIBRI / I 100 anni di Giorgio Bassani

Il suo “Giardino dei Finzi-Contini” ci dona, ancora oggi, un messaggio di speranza

“Il narratore, inconsapevolmente, rientra a casa portando con sé una benedizione divina”.
I cento anni dalla nascita di uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, Giorgio Bassani, non possono non essere ricordati con le parole di una delle più profonde studiose dello scrittore di Ferrara, Marilyn Schneider. Perché quello che per molti è il romanzo-capolavoro di Bassani, “Il giardino dei Finzi-Contini”, uscito nel 1962, non è solo la storia di due adolescenti e della comunità israelitica di Ferrara, ma più in profondità è anche un rito di iniziazione alla vita adulta.
Micòl, la bella protagonista del romanzo, rifiuta l’amore del narratore, ma con motivazioni diverse da un banale “non mi piaci”: “L’amore era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi, e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi”, rivela la fanciulla al narratore che le chiede i motivi del suo rifiuto, nonostante le affinità che li legano da sempre. L’accenno al tennis è dovuto al fatto che i ragazzi delle famiglie ebraiche di Ferrara, emarginati dalle leggi razziali, si incontravano per continuare a giocare nel campo all’interno del giardino di Micòl Finzi-Contini.
Il narratore deve rinunciare a quell’amore tanto idealizzato, tanto prossimo a concretarsi eppure impossibile, proprio per quei motivi che secondo lui dovrebbero farlo nascere: l’appartenenza alla medesima comunità, la cultura, la sensibilità, l’attaccamento ai ricordi. Forse non è quello il motivo del rifiuto, dice a se stesso il giovane, senza peraltro riuscire mai a comprendere davvero.
La sensazione in realtà è giusta, il cuore ha le sue ragioni, diceva bene Pascal, che la ragione non conosce. Perché come aveva ben intuito la Schneider, il rifiuto di Micòl segna la salvezza del suo innamorato. La fanciulla scomparirà, inghiottita con tutta la sua famiglia in un lager nazista, ma, con il suo “no” ha impedito al narratore di entrare nella sua casa e di essere anche lui, come tutti, sacrificato al Moloch dello stato assoluto. Rifiutando il suo amore, la fanciulla gli dona la vita.
È un crudele, in apparenza, rito di passaggio. il favoloso giardino dei Finzi-Contini è un richiamo dell’eden perduto, che deve essere abbandonato per poter davvero fare i conti con la realtà e con il futuro. Per poterlo fare, il giovane deve subire la ferita iniziatica e accettare la realtà: il giardino è chiuso, e per sempre.
Libro da rileggere, “Il giardino dei Finzi-Contini”, grazie anche al pretesto di questo centenario, perché riesce a contenere in sé l’incontro, l’amore e l’abbandono, la speranza e la ferita, una parte di storia italiana e non solo italiana, la poesia e la morte, la storia individuale e quella di un popolo intero massacrato nel secolo breve: ci aveva pensato Leopardi a metterci in guardia contro le sedicenti magnifiche sorti e progressive di una umanità in realtà sempre pronta a tornare all’età della pietra. Ma soprattutto un romanzo che ci consegna una delle più belle figure femminili del Novecento, insieme feritrice e salvifica, capace di far morire dentro e di consegnare l’uomo alla sua maturità, al di là dei sogni del passato. L’uscita dal giardino significa accettare l’altro da sé, piantarla con il sogno di amare un altro identico a sé, che in realtà significherebbe amare narcisisticamente sé e basta, accettare in poche parole l’alterità del prossimo.
Un romanzo che ci parla di morte e di violenza, ma che nello stesso tempo, come tutte le grandi opere, comunica una speranza contro tutto e tutti, perché davvero l’amore è capace, prendendo strade incomprensibili, di salvarci.