ARTE / Un tesoro quasi sconosciuto

“Le Nozze di Cana” di Nicola Maria Rossi a Piedimonte Matese

L’Italia è un Paese dalle bellezze straordinarie, con le sue città e i suoi borghi che celano sempre il loro piccolo, grande tesoro di arte e storia. L’Italia non finisce mai di stupire. Così capita che per caso ci si trovi nell’Alto Matese e percorrendo una strada, che asseconda il paesaggio collinare, si arrivi ad un piccolo paese dalle lontane origini, dal nome Piedimonte. Un suggestivo borgo pieno di chiesette medievali, barocche e roccocò, di viuzze vecchie e nuove. Proprio qui all’interno della chiesa dell’Ave Grazia Plena, dietro l’altare maggiore si trova un enorme e splendido quadrone che raffigura le “Nozze di Cana”. A realizzare l’opera nel 1732 fu l’artista Nicola Maria Rossi, nome sconosciuto al grande pubblico, così abituato ai grandi e famosi maestri della nostra tradizione. Rossi fu uno dei più brillanti allievi di Francesco Solimena, il pittore che riformò la pittura napoletana dopo Luca Giordano, orientando il nuovo stile verso i modi della tradizione classicista di Carlo Maratta. Con il tempo Nicola maturò una propria cifra stilistica, meno aulica ma più schiettamente naturalista. Apprezzato dall’aristocrazia austriaca presente a Napoli, fu particolarmente richiesto in tutto il Mezzogiorno.
Quello di Piedimonte si annovera tra i suoi migliori lavori, dove l’artista mette a frutto tutta la sua capacità descrittiva creando una scenografia come il palcoscenico di un teatro, con i personaggi quasi a grandezza naturale. Favorita dalle straordinarie dimensioni (otto metri di lunghezza per cinque di altezza) e dal taglio orizzontale che consente una visione più diretta, la narrazione del primo miracolo di Cristo perde la classica descrizione storica e, attraverso l’inserimento di momenti di vita quotidiana e di scene di genere, l’evento viene attualizzato divenendo moderno e reale, ma soprattutto messaggio evangelico universale.
L’artista adopera con grande abilità i colori, dosando con metodo la forza dei toni luministici sui fluenti panneggi degli astanti. La scena racconta l’attimo precedente alla trasformazione dell’acqua in vino. Gesù e Maria, nonostante leggermente fuori dal centro prospettico della scena, diventano il fulcro dell’opera. Al gesto perentorio e dolcemente evocativo del Cristo corrisponde quello invocante ed esortativo della Vergine, con la mani giunte in preghiera. Tutt’intorno si vede il mondo di Napoli e del Matese, dove l’aristocrazia di spada incontra la nobiltà dei baroni, tutti con abiti sfarzosi, tra i richiami della moda austriaca e quella spagnola, fino al sultano con il turbante dorato. Anche i maggiordomi sembrano partecipare alla festa nuziale con la loro smorfia di allegria. Non mancano poi i richiami alla tradizione classica, attraverso la descrizione minuziosa di alcuni personaggi che sembrano provenire dal mondo greco, caratterizzati dalla vigorosa tensione dei busti flessi e della trazione delle membra in posa plastica.
A commissionare l’opera fu un insigne personaggio del luogo, Giovanni Francesco Trutta, alifano di nascita e socio della Reale Accademia Napoletana, autore di uno dei più importanti testi di carattere storico-letterario, le “Dissertazioni istoriche delle antichità Alifane” del 1766. E così anche un piccolo borgo alle pendici di una scoscesa salita verso il Monte Matese, restituisce un tesoro quasi sconosciuto di arte, storia e tradizione, esempio del nostro meraviglioso patrimonio diffuso.