Europa

L’euro 20 anni dopo: una scommessa da portare a compimento

Il 1º gennaio 2002, 12 Paesi dell'Ue mettevano in atto il più importante cambio di valuta di tutti i tempi: oggi sono 19 i membri Ue che hanno adottato l’euro ma sono circa 60 i Paesi nel mondo che all’euro legano la propria valuta

Per passare all’euro, il 1 gennaio di 20 anni fa 12 Paesi dell’Unione europea congedavano le proprie banconote e monete nazionali. L’euro oggi è la moneta utilizzata da più di 300 milioni di europei ed è stata adottata in 19 dei 27 Paesi dell’Unione europea aderenti all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea, Uem. Si tratta della seconda valuta internazionale più importante ed usata al mondo, dopo il dollaro.

Un simbolo

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha dichiarato: “Sono ormai 20 anni che noi europei ci portiamo l’Europa in tasca. L’euro non è solo una delle valute più solide al mondo, è soprattutto un simbolo dell’unità europea”. La presidente ha sottolineato che le banconote raffigurano da un lato dei ponti e dall’altro una porta, “proprio quello che l’euro simboleggia”. L’euro rispecchia i valori europei: è “la valuta globale degli investimenti sostenibili”. Inoltre, la presidente von der Leyen ha affermato che l’euro è la valuta del futuro, e che “nei prossimi anni diventerà anche una moneta digitale”.

Della situazione economica che si vive in questo anniversario, dei limiti e delle criticità legate all’euro, parla Pier Carlo Padoan, già ministro dell’Economia e delle Finanze e direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale:

Padoan parla innanzitutto di inflazione spiegando che, in generale, un livello di poco sopra al 2 per cento è ancora accettabile anche perché permette un equilibrio possibile con il debito, ma aggiunge che il problema vero è l’inflazione settoriale, cioè quella che colpisce ad esempio il settore energetico e che comporta costi alti per i prezzi di alcuni servizi. “Servono aggiustamenti”, afferma. E poi a proposito della situazione attuale, a 20 anni dall’adozione dell’euro, Padoan invita a parlare di crescita per spiegare che la situazione attualmente non è negativa in Europa a patto che si punti davvero a una crescita qualitativa oltre che quantitativa. Significa innanzitutto fare quelle riforme che servono per spendere i miliardi dell’Ue, contenere i livelli di inflazione entro i parametri di sane dinamiche economiche, per assicurare sostenibilità sul piano ambientale, ma soprattutto significa assicurare un avvenire alle nuove generazioni con posti di lavoro e – sottolinea – posti di lavoro dignitoso. A questo proposito un altro elemento chiave citato dall’economista è quello del ruolo delle donne: motivo di squilibri sono le discriminazioni di impiego e salariali per il mondo femminile e il malfunzionamento delle politiche sociali che interessano in primis le donne.

Mancano pilastri sul piano politico

In questi due decenni – riconosce Padoan – l’euro ha agevolato le attività commerciali in tutta Europa e oltre. Offre molti vantaggi ai cittadini tra cui la stabilità dei prezzi, una loro più facile comparazione che stimola la concorrenza tra imprese, una maggiore stabilità e crescita economica, una maggiore influenza sull’economia globale e maggiore integrazione tra i mercati finanziari. Di certo, prima dell’euro, la necessità di scambiare valute comportava una serie di costi aggiuntivi della cui assenza ha giovato l’attività imprenditoriale e di investimento nell’euro zona. Il punto è – sostiene – che si tratta di un processo ancora non portato a compimento: mancano passaggi dell’unione monetaria da fare, mancano politiche fiscali. In generale – afferma Padoan – mancano pezzi della costruzione politica dell’Ue, che resta una realtà di integrazione sbilanciata sul piano dell’economia.

Di fronte alla domanda su cosa sarebbe l’Europa se 20 anni fa non si fosse affermata la moneta unica, Padoan non ha dubbi: sarebbe stato – commenta – un destino di disintegrazione, di divergenza, frammentazione a anche di conflitto. Per il futuro l’economista intravede un rafforzamento dell’euro, ma raccomanda passi avanti citando anche l’unione bancaria, per assicurare canali per creare ricchezza nell’ambito dell’economia reale.

Un percorso di 40 anni

Si può dire che la data della nascita della moneta unica europea è il 1 gennaio 1999, mentre la sua circolazione risale al 1 gennaio del 2002. In realtà è nel giugno del 1988 che il Consiglio europeo assegnò il compito di elaborare un progetto per la progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria ad un comitato composto dai governatori delle Banche centrali nazionali della allora Comunità europea. Tale comitato, presieduto dal francese  Jacques Delors, elaborò il noto “Rapporto Delors” nel quale si proponeva l’attuazione dell’Uem in tre distinte fasi: la prima, a partire dal 1 luglio 1990, prevedeva la libera circolazione dei flussi di capitale tra gli Stati membri, mentre la seconda fase, successiva al Trattato di Maastricht del 1992, prevedeva la creazione dell’Istituto monetario europeo, Ime, teso a rafforzare la cooperazione tra le diverse banche centrali nazionali in modo da giungere ad una politica monetaria unica. La terza fase, invece, ebbe iniziò una volta fissati i tassi di cambio delle valute nazionali dei primi 12 Stati membri aderenti all’Unione monetaria e si realizzò con il progressivo passaggio alla moneta unica.
I tassi di cambio vennero stabiliti dal Consiglio europeo in base al valore delle monete nazionali sul mercato al 31 dicembre 1988, in modo che un Ecu, l’unità di valuta europea, fosse pari a un euro. Dal 1 gennaio 1999, dunque, iniziò il periodo di transizione in cui l’euro, pur non essendo ancora ufficialmente in circolazione, poteva comunque essere adottato come ‘moneta scritturale’. Dal 1 gennaio 2002, invece, l’euro è entrato ufficialmente in circolazione anche se, fino al 28 febbraio, affiancava le monete nazionali che vennero definitivamente sostituite solo il 1 marzo dello stesso anno.

da Vatican News