Azione Cattolica

L’Azione Cattolica riflette sul proprio Progetto formativo

Animatori e responsabili dell'associazione diocesana a confronto sulla riedizione aggiornata del proprio testo base che delinea l'impegno spirituale e missionario, in dialogo con suor Luisella Maino

L’elaborazione di un “Progetto formativo” ha accompagnato gran parte del cammino della “nuova” Azione Cattolica post conciliare: sin dalla fine degli anni Ottanta il centro nazionale ha prodotto testi che contenessero le linee degli intenti che l’associazione ecclesiale si dà nella formazione dei propri membri, fino a giungere a una stesura definitiva licenziata, assieme allo Statuto aggiornato, nel 2004.

Di esso, qualche mese fa, si è avuta una riedizione con degli aggiornamenti: stessi concetti di fondo, ma con un rinnovamento del linguaggio e della prospettiva missionaria, sulla base, in particolare, del più recente magistero di papa Francesco.

“Perché sia formato Cristo in voi”, l’espressione di san Paolo (presa dall’epistola ai Galati) che è confermata a titolo della nuova stesura del Progetto formativo di AC, su cui, sabato scorso, si sono confrontati responsabili e animatori dell’associazione diocesana reatina. Radunati nel salone della parrocchia San Giovanni Battista, hanno avviato l’incontro seguendo il video della presentazione del Progetto aggiornato da parte del centro nazionale che era stata fatta – di necessità online – a dicembre. Scopo del ritrovarsi insieme, fra esponenti dell’AC di Rieti, era – ha detto in apertura il segretario diocesano Moris Baldi – impegnarsi, secondo l’invito del presidente nazionale Matteo Truffelli, a studiare il Progetto «perché sta a noi calarlo nella concretezza della vita associativa: un po’ come una mappa che poi ci serve per il percorso da compiere».

È toccato a Marco Colantoni, già presidente diocesano in passato, presentare sinteticamente senso e contenuto del Progetto, a partire da una premessa: «L’Azione Cattolica vuole laici cristiani formati: si spende per far vivere l’incontro con il Signore nella quotidianità e nella storia e per un laicato maturo nella Chiesa». Marco ha aiutato a ripercorrere le linee guida del Progetto, ricordando che esso sintetizza l’attenzione dell’associazione alla crescita dei suoi membri nelle diverse fasce d’età: l’AC, infatti, si prefigge di rivolgersi al ragazzo «per fargli scoprire e conoscere la figura di Gesù», vuol presentare al giovane «un progetto di vita da scegliere» e propone all’adulto «di vivere e di testimoniare il rapporto con Cristo». E ciò nello stile precipuamente “laicale” che caratterizza la principale aggregazione ecclesiale, in quella continua «tensione tra terra e altare» che punta a «far incontrare il Vangelo con la vita».

E già: il far incontrare Vangelo ed esistenza concreta, ha proseguito l’illustrazione di Colantoni, «è uno dei tratti più forti della vocazione laicale: quello di tenere insieme dimensioni apparentemente inconciliabili: vita e fede». La scommessa di «abitare la tensione», quella tipicamente laicale del vivere nel mondo senza appartenere a esso, «dell’essere di Dio ed essere per il mondo». E con un particolare linguaggio che «solo i laici possono utilizzare: una “grammatica umana” che svela l’uomo all’uomo per raggiungere tutti, dove le persone oggi vivono».

Le piste sono quelle di sempre dell’Azione Cattolica: la sua scelta religiosa (col primato dello spirituale che l’ha fatta rinunciare col Concilio a ogni “collateralismo” di tipo politico), la scelta democratica, la scelta associativa-missionaria. Da declinare con l’esperienza del gruppo (che non è però l’unica: c’è anche l’autoformazione continua del socio di AC), il vivere dentro una comunità in stretta collaborazione coi pastori (l’AC non ha un fine “proprio”: è quello della Chiesa tutta), nello stile di accoglienza e apertura, proponendo esperienze forti e sapendo accompagnare le persone camminando «al passo dell’altro, che è il passo dell’ultimo».

Il nuovo “condimento” di questo che è frutto di anni di esperienze e riflessioni è dato da alcune sottolineature care a papa Francesco: l’anelito a sentirsi “discepoli missionari”, l’avere uno “sguardo contemplativo sulla realtà” cogliendo in tutto il riflesso di Dio, una particolare cura per il creato, i poveri, l’atteggiamento di misericordia. Per dirla con uno slogan riassuntivo: «Incontriamo Dio dove ci sono piedi da lavare».

E il confronto, per scrutare insieme il discorso, i rappresentanti dell’Azione Cattolica hanno voluto farlo con una voce “altra” all’interno della Chiesa locale, invitando a portare un suo contributo suor Luisella Maino. La religiosa pastorella, che – ha confidato – l’esperienza di di AC l’aveva svolta da bambina nella sua parrocchia natale ma poi, nelle varie comunità in cui si è trovata ad operare, non ha più avuto modo di lavorarvi dentro, ha esortato a cogliere nella riformulazione del Progetto quelle sollecitazioni che «sono cosa diversa da un rimprovero: aiutano a crescere». E anche per l’Azione Cattolica questo tempo particolare che si sta vivendo deve sollecitare a riflettere e a darsi una scossa.

«Dobbiamo guardarla la realtà. Inutile pensare a quando potremo tornare, passata la tempesta, a fare come prima. Il “come prima” mai tornerà e anzi sarebbe un errore voler farlo tornare!». Lei che ha lavorato e continua a lavorare tanto con il mondo giovanile un invito particolarmente ci ha tenuto a farlo, a proposito dei ragazzi che si allontanano dalla Chiesa quando non vi vengono più “trascinati” dai genitori: quello a «interrogarsi come proporre la fede a chi sta crescendo: un adolescente, un giovane ha bisogno di proposte serie, che tirano», e occorre essere bravi a intercettare il loro «bisogno di riscoprire la Parola». Il coraggio pastorale è quello di rinunciare alla “matematica”, con l’ossessiva preoccupazione di “quanti siamo”, e ricordare sempre che quello del Vangelo è un “se vuoi”: «Gesù non ha mai fatto retate!».

Il pensiero finale suor Luisella l’ha proposto guardando quell’oggetto insopportabile che si è costretti a portare in questo periodo: quella mascherina, che indubbiamente «è odiosa, ma cosa ci insegna?». Costringe a mettere in evidenza solo gli occhi e a tappare un po’ le bocche. «Gli occhi sono la verità… Magari ci lanciasse il messaggio che dobbiamo imparare a parlare di meno, a guardare di più e a stare attenti all’altro!». Parole nostre da soppesare e occasione per riscoprire invece «la Parola», quella vera.

Prima di lasciare la parola a don Roberto, assistente diocesano Acr (che, anche a nome dell’assistente unitario don Zdenek, al momento “in vacanza” ospedaliera, ha guidato una riflessione spirituale conclusiva sulla pagina dei discepoli di Emmaus), il pensiero conclusivo alla presidente diocesana, Fausta Tasselli, con l’invito a leggere e approfondire il Progetto formativo di AC. Con un’attenzione particolare alle singole persone, facendo tesoro delle iniziative in programma per lo speciale “100 anni e più” che l’associazione diocesana ha messo in cantiere.