“L’Aquila rinasce”. Oltre lo slogan ci prova davvero

Viaggio in una città bombardata, a cinque anni dal sisma che ha seminato morte e distruzione. La cronaca politico-giudiziaria non aiuta, ma non mancano segnali di speranza. Come dall’Università, in prima linea per la ricostruzione materiale e immateriale. Il dolore profondo per la “zona rossa” ancora spettrale: solo una trentina i negozi che hanno riaperto. Ma è il tessuto sociale che manca.

La burocrazia e i fondi mai sufficienti. Chi specula per fare i propri interessi e chi cade vittima della disperazione. Sembrano questi i nemici della ricostruzione di una città, L’Aquila, che a quasi cinque anni dal terremoto del 6 aprile 2009 non è morta, ma neppure tornata alla normalità. Politica e magistratura contribuiscono a riaccendere, di tanto in tanto, i riflettori dei media, ma c’è pure una dimensione “quotidiana” che merita attenzione.

Dimissioni e inchieste.

Sul fronte politico si va dalle dimissioni del sindaco Cialente, in aperta polemica con il ministro Trigilia, a quelle del vicesindaco Riga, indagato per presunte tangenti legate alla ricostruzione. La magistratura, intanto, cerca di fare luce con una nuova indagine su sperperi e tangenti, come nel caso dell’Istituto per geometri De Nino-Morandi di Sulmona, nelle cui fondamenta mancano 32 micropali sugli 80 previsti ed è costato 5 volte tanto. Tra le vittime della disperazione il direttore provinciale di Confcommercio, che nei giorni scorsi si è barricato nei bagni di Bankitalia minacciando di darsi fuoco, e un noto psichiatra che si è tolto la vita nella sua casa ancora inagibile, nel centro.

L’impegno dell’università.

La ricostruzione è partita dalla periferia, dove ci sono 19mila nuovi alloggi, ma di lavoro da fare – soprattutto nel centro storico – ce n’è ancora tanto: ci vorranno anni, ed è lecito pensare che finora si sia anche perso del tempo, guardando le protezioni in plastica, ormai lacerate, messe alle finestre del “Palazzo Margherita”, lo storico edificio che ospitava la sede del Comune e che ora si trova ingabbiato dalle travi in ferro. Ora “la differenza sta nel vedere se le cose si stanno facendo o meno”, commenta al Sir il rettore dell’Università dell’Aquila, Paola Inverardi. La incontriamo nella sede provvisoria dell’ateneo a Coppito, dove prima c’era la scuola “Reiss Romoli”, che a febbraio verrà abbandonata per trasferirsi in un altro edificio più centrale, in attesa di far definitivamente ritorno, tra un paio d’anni, nella sede centrale di Palazzo Camponeschi. Con il ministero della Coesione Territoriale l’ateneo aquilano ha in corso un progetto che prevede “un finanziamento di 5 milioni di euro – spiega il rettore – destinato allo sviluppo e alla messa in opera di una rete in banda larga che colleghi diverse amministrazioni pubbliche”. In altri termini, chiarisce Inverardi, “ci stiamo muovendo per realizzare un servizio per la città, dotandola al tempo stesso di un elemento distintivo, che attragga qui ricercatori e aziende ad alto contenuto tecnologico: sarà una grande infrastruttura da offrire alla comunità nazionale”.

“Non siamo abbandonati”.

“Abbiamo avuto una grande disgrazia, ma non viviamo nella parte peggiore dell’Italia, non possiamo dire di essere abbandonati”, riconosce il rettore: se non ne fosse convinta, dice, non avrebbe accettato poco più di tre mesi fa di guidare l’ateneo per i prossimi anni. “C’è da operare una ricostruzione materiale, ma pure una immateriale” e l’università può fare la sua parte. A partire dal coinvolgimento degli studenti, chiamati ad essere “cittadini di questa città, impegnati non solo a studiare, ma a lasciare il proprio segno nella ricostruzione attraverso un’integrazione tra attività formative, ricerca e ricostruzione”.

Ancora tanto da fare.

Tornando nel centro, nelle cui vie si alternano ruspe e betoniere, sulle coperture dei ponteggi campeggia lo slogan “L’Aquila rinasce”. In via XX Settembre (dove sorgeva la “Casa dello studente”) diversi edifici a lato della strada sono stati abbattuti, ma la vista ora corre su altri, poco più lontani, parimenti squarciati, mentre ci sono ancora gli alpini a presidiare una “zona rossa” ormai spettrale. Nemmeno una trentina le attività commerciali che hanno riaperto: sulla vetrina del Bar del Commercio ci sono ancora i post-it con scritto “amarcord” e i nomi di chi li ha messi il 6 aprile 2012, nel terzo anniversario del sisma, e in piazza Duomo è appeso lo striscione di un’altra manifestazione (“Una zona rossa ovunque si trovi è questione nazionale. Mettiamoci una pezza”) fatta dagli aquilani per sollecitare le coscienze e la politica. “Già prima del terremoto qui c’erano soprattutto uffici, ma chi abitava nel centro storico ora è in periferia”, raccontano al Bar del Corso. E tra le attività che hanno ripreso, diverse si sono trasferite lontano, come la gioielleria Ciocca (“dal 1905”, riporta l’insegna in piazza Palazzo), ora a Scoppito. Nei palazzi del centro c’è ancora tanto da fare, ma all’Aquila c’è pure da ricostruire il tessuto sociale. Ci vorrà ancora tempo e ciascuno è chiamato a fare la sua parte.