L’agenda del “gender” vuole la famiglia debole

Il professor Stefano Zamagni premiato dalla Fondazione sublacense “Vita e Famiglia”. «La differenza dei generi – ha precisato – deve essere un arricchimento reciproco e non la giustificazione di discriminazioni di varia natura. La famiglia esiste nella sua completezza, quando è strutturata intorno alla complementarietà maschio-femmina». La pluralizzazione delle forme familiari e «il mito della singleness».

Una “rivoluzione culturale” per risolvere i problemi della famiglia e per tornare a dare senso e valore alla “diversità, alla reciprocità e alla complementarietà” dell’uomo e della donna. Ad auspicarla è stato Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica all’università di Bologna, che ieri sera, nella cornice della storica abbazia benedettina di Santa Scolastica, a Subiaco, ha ricevuto il Premio “San Benedetto” della Fondazione sublacense “Vita e Famiglia”, presieduta da Luisa Santolini. Un riconoscimento, si legge nella motivazione, alla “sua straordinaria capacità di coniugare rigore scientifico e non comuni doti umane” che gli hanno consentito di “essere un punto di riferimento per tutti coloro che vedono nella famiglia un insostituibile baluardo contro le crisi economica, politica, culturale e sociale dell’Europa”.

La minaccia dell’agenda gender.

“La famiglia è in armonia, e quindi luogo di felicità, quando la differenza dei generi diventa occasione di arricchimento reciproco e non giustificazione di discriminazioni di varia natura” ha rimarcato Zamagni nella sua “lectio”, davanti ad folto pubblico che riempiva per l’occasione la cattedrale del complesso benedettino. Al centro è la vexata quaestio delle “nuove famiglie” ovvero delle “nuove unioni” intorno alle quali, per l’economista, “il dibattito mediatico e soprattutto culturale è sproporzionatamente ampio rispetto alla consistenza reale del fenomeno”. E ciò è dovuto al fatto che questo tema “si collega a doppio filo alla attualissima teoria del genere (gender) che depreca il dogma eterosessuale”. Teoria che sostiene che “il genere è semplicemente quello in cui un individuo si identifica, o meglio decide di identificarsi” e che a partire dalla Conferenza mondiale dell’Onu sulle donne a Pechino nel 1995, è entrata in ogni documento ufficiale delle Nazioni Unite in materia di lotta alle discriminazioni di genere. “L’agenda gender – ha affermato Zamagni – sta generando gravi conseguenze per la famiglia. Una di queste concerne la crescente pluralizzazione delle forme familiari”. Il problema che si pone è “come arrivare a fissare un criterio in forza del quale si possa distinguere il modello di famiglia dominante fino ad alcuni decenni fa – coppia eterosessuale sposata con figli propri – da altre forme di convivenza e di aggregazione sociale”.

Politiche familiari disattese.

Nel caso dell’Italia, ha ravvisato il docente, “la ricerca di un criterio che valga a fissare la distinzione tra famiglia cosiddetta tradizionale e altre comunità di vita è ancor più necessaria per una ragione semplice e cruciale ad un tempo, che riguarda specificamente il nostro assetto costituzionale”. Chiara l’allusione alla Carta Costituzionale che dedica alla famiglia ben tre articoli, il 29, il 30 e il 31. Se nell’articolo 29 lo Stato “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, è nel 31 che “agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia, la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Un favor familiae del testo costituzionale che, ha denunciato Zamagni, pur richiamando le politiche familiari, resta inattuato. Provvedimenti che segnano importanti conquiste emancipative come la legge sulla parità salariale tra uomini e donne del 1960, quella del 1971 sulla tutela della maternità per le lavoratrici dipendenti, ed altre più recenti, ha detto l’economista, “non toccano o non riguardano la famiglia in quanto istituzione sociale”. Questa discrasia tra “dichiarazioni di principio e linee politiche” ha a che vedere con “una inadeguata concettualizzazione del soggetto famiglia e quindi con la difficoltà di individuare un criterio sulla cui base dare risposta alla domanda di cosa sia famiglia”.

Quattro tratti distintivi.

La risposta di Zamagni al quesito è stata che “la famiglia è una comunità di vita nella quale il dono, la reciprocità, la generatività e la sessualità come amore coniugale, sono i quattro tratti distintivi”. La famiglia esiste nella sua completezza, “quando è strutturata intorno alla complementarietà maschio-femmina. Se gestita consapevolmente, la differenza di genere diventa allora differenziazione complementare e non estraneità reciproca che conduce al conflitto”. Solamente una famiglia forte al proprio interno, “capace, cioè, di far stare assieme in modo armonico i quattro elementi citati è in grado di esercitare un certo potere di contrattazione nei confronti sia dell’impresa sia dello Stato. È forse per un tale timore – ha concluso – che la cultura dominante favorisce la tendenziale scissione tra uomo e donna in nome del mito della singleness”. Con un chiaro obiettivo: “Indebolire la famiglia significa, dominarla e asservirla a interessi di parte”. La famiglia, invece, deve continuare ad avere una sua generatività, che si esplica non solo nel generare nuove vite ma anche nel far progredire gli sposi con il costante aiuto reciproco verso una personalità più piena e matura. È attraverso il matrimonio che si potranno perfezionare le capacità individuali degli sposi, così come le loro risorse economiche”.