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La strategia della bellezza

Vediamo di continuo movimenti di protesta e indignazione, soprattutto in opposizione alle grandi ingiustizie sociali ed economiche. Ma anche vicende piccole riescono a scatenare prese di posizione e petizioni, quando toccano le abitudini o contrastano con il buon senso. Non sempre, però, questi movimenti riescono a cambiare le cose

Dopo l’intervento della Regione, che ne vieta l’uso per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, l’argine del fiume è diventato il fatto della settimana. La polemica anima i social e se ne sta occupando ampiamente anche la stampa quotidiana. Con la comparsa di cartelli di solidarietà sulle vetrine dei negozi e di una cliccata petizione on-line, la vicenda è velocemente scivolata nell’agenda politica.

Al centro del dibattito c’è un locale in via della Verdura. Anni fa, aveva ottenuto di poter espandere la sua attività sulla terrazza fluviale nei mesi estivi, ma la concessione è stata ritirata per il superamento dei livelli acustici consentiti. Uno sforamento di 3 decibel dà ragione agli esposti del vicinato, che da anni oppone brutte lenzuolate a una buona intuizione imprenditoriale. Ripulito e ingentilito, un pezzetto di argine è stato infatti trasformato in un luogo piacevole, apprezzato e accogliente. Nelle torride estati reatine lo spazio recuperato ha offerto un po’ di fresco e svago agli affezionati clienti e permesso agli esercenti di compensare i minori incassi invernali.

Se la vicenda si trova in primo piano, ovviamente, non è per questo, ma perché in tanti hanno letto nei fatti qualcosa di simbolico: l’opposizione tra la città che vuole fare e quella dell’immobilismo sterile; tra chi cerca di rendere Rieti attraente e chi è indifferente al suo spopolamento; tra chi inventa e fatica e chi approfitta di una qualche rendita. I più raffinati hanno colto nelle circostanze la distanza tra le istituzioni e il cittadino, il contrasto tra buon senso e burocrazia. E a seguire questo filo conduttore si viene presi dallo sconforto, perché vengono alla mente i timbri e i bolli necessari per gestire la ricostruzione conseguente al terremoto.

Ma forse si sta esagerando: meglio tornare coi piedi a terrà e ricondurre i fatti alle giuste proporzioni, senza però rinunciare a quanto di buono sta producendo questa storia. Come l’intenzione di mettere mano al Piano di zonizzazione acustica annunciata dall’Amministrazione, con l’avvertenza che il documento sarà «in ogni caso subordinato ai parametri imposti dalla legge regionale». Il tema del rapporto tra quiete e rumore nei centri storici è comune a tante città italiane: c’è da armonizzare la qualità di vita dei residenti con un più ampio interesse sociale ed economico. Un discorso che dalle nostre parti va oltre la vita notturna, perché ha pure a che fare con le strategie di accesso delle automobili in centro, con l’auspicato ritorno di uffici e servizi all’interno delle mura, con la vocazione turistica e culturale dei luoghi storici. Considerazioni che a Rieti vanno legate al particolare pregio del tratto urbano del fiume Velino e alla voglia di metterlo a sistema, pur essendo la zona classificata «ad alto rischio esondazione» dal Piano regionale di Assetto Idrogeologico.

Venire a capo di questo complesso di cose, vorrebbe dire che una riflessione sul futuro della città, condotta «al di sopra dei singoli legittimi interessi», è possibile. E che magari, come auspicato da Nome Officina Politica, è davvero possibile fare una discussione «che abbia dimensioni più grandi di quella, seppure utile e vivace, su una terrazza».

Quest’ultima, però, può dire ancora qualcosa su come stiamo messi e su dove possiamo andare. Perché al netto di ogni ragionamento, a muovere la protesta sembra essere innanzitutto un’esigenza di bellezza. Andando a stringere, la scelta della Regione disturba soprattutto nella misura in cui riconduce all’abbandono un angolo di città strappato al disinteresse e reso bello da vedere e da vivere.

È in questa pretesa di bellezza che il movimento in difesa della movida sull’argine offre un po’ di conforto. L’indignazione ha certamente un peso, ma fatica a determinare il cambiamento. La leva della negatività non basta a motivare fino in fondo la svolta. E spesso la protesta diviene malumore e si estingue poco dopo nel mugugno.

A muovere le cose per davvero è la bellezza. Ma la bellezza è una faccenda difficile: non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze, farsi confondere dalla frivolezza, dai trucchi, dalla moda, ma saperla riconoscere in ciò che dura e offre fondamento. Introducendo alla Laudato si’, il vescovo ha spiegato che «cercare la bellezza non è una forma di snobismo elitario, ma significa puntare a una qualità della vita che ci sottrae alle pretese – non di rado volgari – del denaro, del consumo e del lusso». Tolto il pretesto dell’argine, è forse di questo alleggerimento dalla rendita che avremmo bisogno per risolvere i nostri piccoli e grandi inceppamenti.