Agricoltura e alimentazione

La riscoperta dell’orto

L’attenzione per l’ambiente e il cibo passa certamente tramite la riflessione del pensiero ambientalista e le occasioni simboliche, ma anche da esperienze più semplici nate dal basso, a partire da esigenze quotidiane e personali

Tra le innumerevoli giornate celebrative che contrappuntano le settimane dell’anno, una particolarmente significativa è quella dedicata alla Terra. Si celebra ogni 22 aprile dal 1970, ma solo negli ultimi anni, sotto il peso dei cambiamenti climatici, ha realmente iniziato a corrispondere a una sensibilità condivisa. Nata per sensibilizzare il mondo sul problema dell’inquinamento e sulla conservazione delle risorse naturali, la Giornata mondiale della Terra punta a suscitare azioni pratiche che ciascuno può e deve mettere in atto per tutelare l’ambiente e favorire una riconnessione con la natura. Naturalmente non basta un giorno solo. Né, ad essere onesti, è facile corrispondere all’impegno ideale richiesto dal pensiero ambientalista. Esistono però forme di riavvicinamento alla terra spontanee e semplici. Molte persone il problema della cura del creato non se lo pongono neppure, ma in modo parziale e spesso inconsapevolmente dimostrano l’esigenza di un contatto con la dimensione primaria della vita.

Questo genere di esperienza si rintraccia ad esempio nel fiorire degli orti urbani e di periferia, che convertono in spazio agricolo gli scampoli di verde che contrappuntano le città e i dintorni, a volte recuperando aree degradate. In qualche caso si tratta di iniziative spontanee, in altri di progetti delle amministrazioni. Nel 2012, ad esempio, il Comune di Rieti pubblicò un bando per l’assegnazione di alcuni lotti nei quartieri di Campoloniano e Madonna del Cuore. Ma aree coltivate a ridosso dell’abitato, l’esempio più ampio è quello delle “Porrara”, non sono certo una novità. E di recente provano a venirne alla luce di nuove. Ad esempio si legge un cartello con l’offerta di campi sotto il cavalcavia di Porta d’Arce, dirimpetto al Comando della Guardia di Finanza.

E poi c’è la piana, dove non manca di certo terra fertile. Nella maggior parte dei casi si vedono vasti campi dedicati a monocolture stagionali, ma ci sono anche gli orti domestici collegati alle abitazioni. Passando in via Criano, poi, dalla strada si vede una striscia di terra divisa in piccoli lotti, dove in queste prime giornate primaverili sono impegnate un bel po’ di persone. Tra di loro Luciano, che si è appassionato da pensionato, dopo una vita nell’esercito. «Io non l’avevo mai fatto l’orto – spiega – ma a fare nulla non so stare. Ho iniziato lo scorso anno, ho visto l’annuncio per l’affitto del campo passando in bicicletta, ho chiamato e ho deciso di provare».

Da esordiente totale, ovviamente, Luciano ha dovuto imparare tutto: Mi aiuto con Internet, ma anche chiedendo consiglio a chi ne sa più di me». E poi sbagliando s’impara: «Per due volte ho piantato i piselli e non sono nati. Forse ci riprovo: mi hanno spiegato che debbono “sentire le campane”, insomma, che li debbo mettere un po’ più in superficie. Ma il prossimo anno non so se li pianto!».
Tra vicini ci si passano semi, piantine e consigli. Oltre a tirar su qualche pomodoro, l’orto serve a fare amicizia. «Si sta insieme e ci si sfotte un po’ per farsi una risata», conferma Luciano. E sia dentro che fuori del campo: «Lo scorso anno ho piantato 64 piante di pomodori, ne sono venuti talmente tanti da condividerli con tutto il quartiere. È una cosa simpatica, ormai gli amici mi chiedono “cosa hai piantato?”». E l’elenco è lungo: «pomodori, patate – che gli gnocchi vengono fenomenali – insalata, meloni…» e «agretti, spinaci, cipolle, agli, carciofi, mais…», prosegue un po’ competitiva, dal campo di fronte, Angela: «bisogna tornare alla terra – dice soddisfatta – che ti mantieni in forma, fai movimento, scarichi lo stress».

C’è chi si dedica all’orto anche per ritrovare sapori genuini, e vivere il piacere di portare in tavola prodotti che di sicuro non sono stati trattati. Un principio di auto sussistenza che si risolve quasi sempre in una prospettiva più ricca. La chiave è nel tempo, che molte persone sentono il bisogno di passare in un modo diverso, investendolo per ricavare la soddisfazione di mangiare qualcosa che ha valore aggiunto perché con l’orto si trasformano le ore in cibo e nel piacere di condividerlo.

«È un modo per svagarsi – riprende Luciano – ma dà soddisfazione partire dal seme e raccogliere i frutti. Sembra banale, ma ci vuole pazienza, bisogna mantenere pulito, tenere a bada i parassiti, gestire l’acqua che va usata e non sprecata». E allora oltre a quella del sistema d’irrigazione è bene vada raccolta anche quella piovana. A fare l’orto ci si rende conto che anche dove ce n’è tanta l’acqua è un bene scarso, che richiede misura.

Meno legato al consumo, l’orto sembra avere acquisito valori sociali ed educativi, certamente ambientali, forse addirittura estetici. «Guarda quanto è bello il mio!», dice Angela che appena le capita l’occasione invita amici e parenti a fare un giro tra lattuga e ravanelli. Di certo quello degli orti urbani o sociali è un fenomeno che riguarda trasversalmente tutti: tra i vicini di Angela e Luciano ci sono pensionati e persone che ancora lavorano, anziani, ma anche giovani attratti da un’esperienza minimale di agricoltura, che si avvicinano alla scoperta della terra. Magari non tutti riescono, c’è chi fa un tentativo e poi abbandona: «Il contadino non tutti lo sanno fare – spiega Luciano – c’è tanto da imparare e i risultati non sempre arrivano. Ma non bisogna arrendersi».

Il ricambio degli affittuari lo conferma Carlo, il proprietario del terreno, con cui parliamo al termine di un impegnativo taglio d’erba. «Molte persone – spiega – si sono avvicinate in seguito al lockdown, manifestando il bisogno di tornare all’aria aperta. C’è chi ha iniziato così e si è appassionato talmente tanto che ora ha tre lotti e ha coinvolto anche il nipote. Un’altra persona, su spinta dalla figlia, sta sperimentando anche con le arnie per le api». L’esperienza, insomma, ciascuno la declina a modo suo: «Un signore chiama l’orto “il mio giardino” – racconta ancora Carlo – ce l’ha da diversi anni: durante l’estate pianta l’ombrellone e se lo gode mentre dà l’acqua alle piante. Un arrivo più recente è quello di una signora dell’est Europa, in Italia da tanti anni, che compensa nella piana reatina la nostalgia per l’orto che curava prima di arrivare nel nostro Paese».

Questa varietà umana si rispecchia negli orari: «Alcuni vengono la mattina presto, altri sfruttano il pomeriggio… qualcuno è venuto anche alle 10 di sera, aiutandosi con i fari della macchina!».  L’importante è conciliare le esigenze della vita con quelle dell’agricoltura. E poco a poco ci si fa una cultura su cosa piantare e quando, su come concimare per mantenere il terreno in condizioni ottimali. Senza clamore, quasi inconsapevolmente, aumenta il consumo di prodotti a chilometri zero, si riducono gli sprechi, si diffondono gratuità e convivialità, cresce la sensibilità ambientale. E così, una volta scoperto il piacere dell’orto e trovata la quadra degli aspetti pratici, ogni giornata appartiene alla terra.