Le comunità e le persone sono più povere se non pregano.
Il disagio psichico e sociale viene sempre più interpretato come l’effetto della povertà, come sembrerebbe: si perde il lavoro e si va in depressione; finisce il matrimonio e si comincia a “svalvolare”, in conformità all’antico detto “hoc post hoc, ergo propter hoc”. Ormai le persone che non stanno bene con se stesse e con gli altri sono tante, troppe, e se si vuole fare qualche proposta per fornire loro un aiuto non si può prescindere da un’osservazione: la povertà interiore e la mancanza di spiritualità e di capacità di ascolto e di preghiera sono la causa fondamentale del disagio psichico e sociale, per cui, di fronte a problemi come la perdita del lavoro o il naufragio della famiglia, non si sa come reagire e che pesci pigliare.
Ciò è dimostrato dal fatto che in altri contesti sociali e religiosi, ad esempio, cioè in luoghi in cui sono prevalenti altre religioni che danno ampio spazio alla dimensione spirituale, il disagio e i tentativi più o meno riusciti di suicidio sono praticamente nulli. Tutto questo in condizioni di povertà economica molto peggiori della nostra.
Due esempi. Il primo. I nostri giovani, quelli che incontriamo nelle scuole, sono sempre più chiassosi e sempre più vuoti. Vivono una settimana scandita da impegni tutti segnati dal fare, dall’agire, in famiglie in cui si fanno tante cose, ma si parla poco, si ascolta pochissimo, se non la musica che si gradisce. Spesso, quando si parla, si urla o si litiga, per cose più o meno serie, più o meno frivole.
In molte famiglie gli unici spettacoli che si seguono sono i giochi dei “pacchi” o le isole di quei “famosi” dei quali chi scrive non è nemmeno al corrente dell’esistenza.
Famiglie in cui non si ascolta e non ci si ascolta sono destinate a naufragare. Ma soprattutto famiglie in cui si è perso il legame con i valori e i princìpi che fondano una buona convivenza, di cui la preghiera, come catena di raccordo anche con le generazioni passate, come apertura al mistero, accoglienza del dono, era e può tornare ad essere il pilastro fondamentale.
Ma se nell’educazione la dimensione spirituale è già stata relegata da tempo tra le cose che non servono e non contano! Per non urtare la coscienza, evidentemente. Infatti abbiamo una scuola che sforna giovani diplomati per lo più destrutturati, una scuola che dal cattivo odore che emana si è meritata un ministro che si chiama Profumo!
Il secondo esempio. I nostri politici, privi quasi tutti di una seria dimensione spirituale, sembrano una masnada di mariuoli, di ladruncoli che usano mezzucci per ruberìe che reputano di poco conto, pur se si tratta di milioni di euro, faranno di tutto per non perdere i loro privilegi, pensando di essere indispensabili e insostituibili. Ogni riforma si potrà fare purché siano loro a restare sulla cresta dell’onda.
Quelli che hanno rubato – si potrebbe obiettare – sono nella maggior parte quelli che sono stati educati secondo certi princìpi e certi valori! È vero, ma sono la generazione di quelli che ha ritenuto superflua la dimensione spirituale. Che ha ritenuto valide solo le tre “i”: internet, inglese, impresa.
Che ha pensato che tutto potesse essere risolto con l’economia e il fare, dimenticando l’essere. Ormai sono più di tre lustri che va avanti questa tiritera e quelli che sono stati educati e formati con questi princìpi malsani sono diventati insegnanti, professionisti, ma anche disoccupati.
Il fare e l’avere hanno avuto la meglio sull’essere, ma quest’ultimo si forgia con l’ascolto, con la preghiera, con la gratuità delle relazioni e con il distacco dal denaro e dal potere.
Chi prega con i salmi, con l’ascolto del Vangelo, chi si abbevera alla sapienza dei Padri, ma anche e più in generale chi si sazia della sapienza antica, sferzante e positiva allo stesso tempo, è più ricco, può farcela, starà meglio in questo mondo. E contribuirà a far stare meglio pure gli altri.